Snowpiercer

Oggi voglio spezzare un’arancia (sic!) in favore di un film uscito a Febbraio 2014 nei cinema italiani ma rimasto pressoché abbastanza ignorato dal grande pubblico. Io, per esempio, l’ho beccato su Sky Cinema, dopo aver scoperto da alcuni gif-set su Tumblr che ci recitava dentro anche Chris Evans (i giri assurdi che si possono fare nell’era di Internet, quando potresti degnarti di guardare i trailer in tv, sono spettacolari).

I motivi che mi hanno spinta a guardare i film sono stati, inizialmente, due: c’era Chris Evans (e chiamalo poco) che interpretava il protagonista; era un film di fantascienza. Detto fatto, mi sono seduta sul divano, sperando di non trovarmi davanti un polpettone. La realtà è andata ben oltre le più rosee aspettative.

Prima di tutto: “Snowpiercer” è l’adattamento su grande schermo della graphic novel francese “Le Transperceneige” (“Snowpiercer” in inglese e pressappoco “Bucaneve” – non il biscotto – in italiano) del 1982, creata da Jacques Lob e Jean-Marc Rochette.

Il film, nonostante sia una produzione coreana, vanta un cast eterogeneo di attori coreani, americani e anche francesi, che rispecchiano una bella multi-etnicità nell’equipaggio di passeggeri rinchiusi senza apparente scampo sul gigantesco treno, che attraversa un mondo gettato in una glaciazione artificiale dalla stupidità umana, tanto per cambiare. Una delle piccole chicche, che fa di questo film una produzione di fantascienza davvero ben costruita, sta proprio nel fatto che regista e sceneggiatori si sono ricordati di un dato fondamentale: non solo gli Americani si salvano, nelle distopie futuristiche, ergo non tutti i passeggeri potrebbero parlare l’inglese. È per questo che Curtis comunica con il coreano Minsu attraverso un traduttore vocale, ad esempio.

Ma sto divagando, andiamo per ordine. Ci rendiamo conto subito che si tratta di una produzione non americana, per la mancanza del mega-spiegone iniziale di dieci minuti e rotti, che necessariamente precede molti film distopici degli ultimi anni. Nessuna voce fuori campo e un po’ sofferta ci fa il riassunto delle puntate precedenti, di tutto quello che ci siamo persi dall’epoca in cui viviamo noi spettatori al momento in cui la storia inizia. Niente infodumping d’accatto, “Snowpiercer” si distingue nell’abile arte di centellinare rivelazioni su azioni all’apparenza incomprensibili poco alla volta. Tutto avrà una sua spiegazione e ognuna avrà un sapore ancora più sconvolgente di quelle che la precedono.

È così, per esempio, che il film si apre su uno schermo nero e su notizie confuse di da diversi telegiornali del rilascio nell’atmosfera di un gas che, nelle intenzioni, dovrebbe mitigare l’effetto serra ma finisce per far sprofondare tutto il pianeta in un’immensa glaciazione. Sullo schermo scritte bianche ci forniscono quelle poche informazioni necessarie a farci capire che ci troviamo nel 2031 e sono passati ben diciassette anni da quando l’immenso treno ha cominciato a macinare chilometri, attraversando bianche steppe desolate, ricoperte di neve e ghiaccio.

Solo a metà film sapremo nel dettaglio chi ha costruito il treno (ma non ne vedremo ancora il viso), come funziona, il suo tragitto, le regole che vigono al suo interno. Tutta la risalita dalla sezione di coda alla sezione di testa non è altro che un minuzioso e crudo approfondimento dell’ecosistema chiuso in cui i nostri sono costretti a restare, se vogliono sopravvivere. Ogni illusione di semplicità e linearità viene strappata via e anche l’impeto rivoluzionario del gruppo che si fa strada fra un ostacolo e l’altro si spegne e si trasforma in una constatazione quasi amara e rassegnata della realtà.

È una storia ben poco indulgente con i suoi personaggi: non c’è spazio per buonismi, eroi dal cuore puro, bei visi truccati e appena appesantiti da un’ombra di nerofumo, per chi è un prigioniero delle sezioni di coda. Chris Evans con la barba lunga, il berretto da profugo e i vestiti stazzonati offre una bella prova attoriale, deviando un po’ dallo standard del bell’eroe americano e progressista che il Marvel Universe gli ha appiccicato addosso. Tilda Swinton, poi, nei panni di Mason è irriconoscibile nel trucco e terribile e meravigliosamente meschina negli atteggiamenti.

Da un punto di vista stilistico, dunque, si diceva che la trama scorre fluida, mostrata attraverso le azioni e ben poco lasciata alle spiegazioni che i personaggi potrebbero fornirci attraverso i loro dialoghi. La macchina da presa indugia bene sui volti sofferti, rallenta e quasi sospende il tempo nelle scene di lotta più cruente o lì dove il senso di attesa deve crescere, prima di offrire allo spettatore la risoluzione del dilemma.

Una delle scene coreograficamente e visivamente più belle resta, per me, la sequenza all’interno del vagone che precede la carrozza dell’acqua, dove sono presenti le cisterne che abbeverano tutti i passeggeri. Sembra un’inquadratura da videogioco, quella che accoglie i nostri, quando la porta si apre e una milizia di sorveglianti incappucciati e armati di asce li assale, muovendosi all’unisono e offrendo una linea d’attacco sempre compatta, manco si trattasse di una colonna di Immortali persiani. Il sangue che schizza sui finestrini, la fuga disperata di chi non ha armi per controbattere, la calata improvvisa del buio sotto la galleria, l’arrivo del fuoco è tutto ripreso in una veste molto scenografica, cruenta al punto giusto, che indugia sul verso del sangue che schizza o sul rumore delle asce che impattano, più che sulle budella che eventualmente dovrebbero spargersi al suolo.

“Snowpiercer” è soprattutto un film coerente, che non tradisce le sue premesse e non offre deroghe né appronta premi se i nostri protagonisti si comportano in maniera virtuosa. Ad ogni azione corrisponde una reazione, ogni decisione si porta dietro i suoi effetti collaterali, chi sbaglia, paga. A fianco alle scene d’azione e agli scontri, c’è tempo per le riflessioni socio-politiche su cosa significhi far parte di un gruppo umano costretto a condividere uno spazio ristretto dalle risorse limitate e c’è ben poco spazio per voli pindarici su quanto fantastici e meravigliosi gli esseri umani siano, nonostante il livello di degradazione che sanno toccare ogni volta.

Insomma, “Snowpiercer” è un film valido, che merita di essere visto anche soltanto perché ha la capacità di tenerti incollato alla poltrona per tutti e centoventisei i minuti che la sua visione richiede e perché… dannazione, Chris Evans che prende ad asciate energumeni su un treno in corsa fra le vette dell’Himalaya, devo aggiungere altro?

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