Star Wars VII: Il risveglio della Forza

Cronache di una presa a male

Il risveglio della Forza

Fare una recensione significa sempre, nel bene e nel male, esprimere un’opinione personalissima su quello che si è visto e potremmo spendere ore sul significato filosofico del punto di vista, su come ognuno di noi percepisca la realtà e la rielabori in modo soggettivo, su quanto nemmeno la scienza riesca a essere obiettiva.

Ci si sforza, però, di mantenere una certa distanza dalle emozioni più basse, dal “Lato Oscuro” del fan, quello che devi mettere da parte quando devi giudicare una storia che ti piace tanto ma che sai avere delle pecche, degli errori insanabili che vanno segnalati tanto quanto i tratti di quel film/libro/fumetto/videogioco/ecc. che ti hanno affascinato (e viceversa, quando devi cercare di non demolire troppo qualcosa che proprio non ti è andata giù).

Poi però arrivano quei miti personali, quelle opere da cui non riesci a distaccarti, non importa quanto ci provi, perché ti sono entrati dentro da troppo tempo, hanno permeato la tua personalità e i tuoi gusti, sono stati i tuoi miti fondativi, quelli da cui parti quando cerchi una storia che ti piaccia davvero guardare o – come nel mio caso – il prototipo di riferimento ineliminabile di tutte le storie che vorrai scrivere e raccontare agli altri.

Star Wars”, al pari di “Sailor Moon” e de “I tre porcellini” appartiene, per quanto mi riguarda, a quella categoria che non è solo un mito fondativo ma pure dell’infanzia, con l’aggravante (in senso buono) di essere stata una di quelle storie a cui mi ha avvicinato mio padre, perché avevo cinque anni quando me ne stavo seduta a fianco a lui a spaventarmi per Darth Vader che tagliava la mano a Luke o sconvolgermi per Han Solo che finiva intrappolato nel blocco di grafite o fare un tifo scatenato per Leia che con la sola catena e la forza delle braccia strozzava quel simpatico vermone viscidone di Jabba The Hutt (che a casa mia è diventato un po’ l’epitome di tutto ciò che è brutto e sozzo, giusto per far capire quanto “Star Wars” faccia parte della mia vita persino nel lessico famigliare).

Perché questo cappello? Perché se “Star Wars VII: Il risveglio della Forza” fosse stato un film totalmente nuovo, una saga di fantascienza lanciata nel 2015 dal titolo di “Residents Quarrels: Il risveglio dell’Amministratore” mi sarei limitata a dire che era un film bruttino, senza infamia e senza lode. Avrei detto che non brillava per originalità, che aveva qualche spunto interessante, e che avremmo aspettato il seguito per vedere se con un’altra tranche da 200 milioni di dollari la Disney riusciva a ingaggiare uno sceneggiatore decente, un regista coraggioso e una gabbia in cui rinchiudere i produttori, troppo loquaci quando si tratta di piazzare pubblicità occulta per il marketing di pupazzi pre- e post-visione del film evento.

Invece no.

Invece questo è “Star Wars VII” e questo titolo presume che il film racconti una prosecuzione di quell’episodio VI con cui Luke, Leia e Han ci avevano salutati, facendo festini hippie con gli orsetti Gummi del pianeta Ewok; che Luke avrebbe dovuto addestrare sua sorella – a quanto si intuiva abbastanza promettente nella Forza pure lei – che bisognava darsi da fare per ricostituire l’ordine degli Jedi ma anche per riportare questo fantomatico equilibrio nella Forza, magari evitando gli errori dei Grandi Vecchi che li avevano preceduti e che non avevano saputo fermare né il declino della Repubblica né la corruzione di quello che doveva essere il Jedi più potente di tutti.

E magari, chissà, ci sarebbe stato spazio per parlare un po’ di più e un po’ meglio anche del Lato Oscuro, del perché è così terribile e tentatore, se davvero con l’altro lato della Forza (o almeno con l’uso che gli esseri umani fanno di esso) non si può dialogare; ché di spunti filosofici ce n’erano e ce ne sono a bizzeffe, ché a me i due Lati della Forza han sempre fatto pensare allo Yin e lo Yang e se nello Yang c’è un punto di oscurità, nello Yin c’è un punto di luce. Insomma, dai, c’era di che parlare, volendo. C’era di che immaginare, anche attingendo alla storia, perché i paralleli alle grandi dittature della Seconda Guerra mondiale abbondavano.

Invece la Disney ci ha dato “Il Frignetta” (copyright di Leo Ortolani che ha già detto tutto su questo film in una recensione che mi ha fatto molto ridere ma anche molto piangere, perché sono quattro giorni che litigo con la mia scimmia e ogni volta che cerco qualcosa di buono in questo sequel, mi prendo di quelle manate dietro la nuca che mi girerà la testa per sempre).

[questa recensione è SPOILER e se in data 12 Gennaio ancora non avete visto il film, beh, avranno provveduto già i vostri contatti Twitter/FB/Tumblr/Instagram a condividere tutto il condivisibile; o siete fra i malcapitati che hanno assistito al servizio del TG1 di fine anno]

Salvate il Soldato Solo

Ho molte cose di cui lamentarmi in questo film ma la prima fra tutte è la smaccata “operazione nostalgia” condotta da Abrams, gli sceneggiatori e soprattutto dai produttori Disney per lanciare sul mercato – con tutta probabilità – persino la carta igienica con sopra la maschera di Darth Vader, che penso sia la metafora perfetta di cosa ha fatto questo film alla saga tutta di “Star Wars”.

Parliamoci chiaro: George Lucas non è un santo, ha fatto i suoi errori (ha fatto anche cagate colossali come la storia dei Midichlorian e Jar Jar Binks) ma in qualche maniera si è sempre salvato in corner e quegli errori, quei difetti presenti nella vecchia come nella nuova trilogia non hanno mai davvero guastato il gusto della storia, non ne hanno mai davvero tradito lo spirito. Sarà la dodicenne che è in me, quella che si incantò persino su “La minaccia fantasma” e per cui la nuova trilogia ha costituito un pezzo importante di adolescenza, a parlare ma riesco a perdonare tante cose a Lucas.

Non l’aver venduto i diritti di Star Wars alla Disney, per cui ogni storia, ogni spunto, ogni novità può essere ruminata e ridigerita per presentare un comodo “film per tutti” con l’adeguata mascotte che faccia vendere merchandising. Ed è lì che il fastidio diventa immenso. A me non piacciono le operazioni nostalgia, non mi piace essere presa in giro, soprattutto perché sono una di quelle boccalone cosmiche che ogni santa volta che un remake o un reboot arriva al cinema se lo va a vedere, ci spende i soldi e dopo si lamenta anche.

Se una storia mi ha conquistato probabilmente non è soltanto perché l’ho vista da bambina e i miei sentimenti di infante con un gusto poco affinato possono avermi condizionata al punto da farla diventare la mia storia preferita. Se un certo tipo di storie, con tutti i loro difetti, assurgono a capolavori è perché hanno lasciato una traccia indelebile in un pubblico vasto e non lo hanno fatto nella speranza di “vendere un prodotto” ma perché chi le ha girate aveva qualcosa da raccontare e ha trovato la formula giusta per farlo.

Gli ammiccamenti saranno pure carini ma che J.J. Abrams basi un film intero solo su quelli, solo su un tentativo esasperato e costante e invadente di rimando a tutti i personaggi e tutti gli eventi di “Una nuova speranza” sembra soltanto un modo per coprire una trama che non solo è una fotocopia sbiadita di quello che era il IV Episodio ma sarebbe carente persino se presa a sé stante, come film stand-alone che non vuole essere un rilancio della saga (e su questo tornerò dopo).

Soprattutto diventa vergognoso il modo in cui i tre protagonisti della vecchia trilogia siano stati estrapolati dal loro contesto, involuti completamente e ributtati in una sceneggiatura che non ha saputo gestire la loro ingombrante presenza di richiamo per i nostalgia-fag (li ho visti i fan con i lucciconi agli occhi sulla foto di Leia e Han che si abbracciavano ormai anziani, prima che il trailer si palesasse in un film che ha lasciato un po’ tanto spiazzati) e ne ha fatto delle macchiette. Non si spiega altrimenti perché abbiano dimenticato tutto il percorso di maturazione compiuto in tre film e non importa quanto devastante possa essere la “terribile verità” su Kylo Ren, fu Ben Solo (ma perché poi dovrebbero essere Han e Leia a dare al proprio figlio il nome di un uomo che prima di tutto è stato importante per Luke?), non basterà a spiegare perché il primo dei nuovi Jedi abbia deciso di svernare in Irlanda, mentre suo padre tornava a fare il Peter Pan sul Falcon senza averne più il physique du role e sua madre si trasformava nella parodia ingessata di una Penelope poco convincente.

Quelli che avrebbero dovuto diventare dei modelli di riferimento, un po’ come il Gandalf de “Il signore degli Anelli”, con la saggezza e l’esperienza di genitori (ma anche nonni) che guidano i propri figli e nipoti attraverso un’altra epoca difficile della Galassia, fornendo loro consigli e punti di vista più approfonditi, sono diventati le ennesime controfigure sbiadite di un mito che è stato barbaramente trucidato per far posto a una nuova generazione di eroi che, semplicemente, non funziona. Non se un film intero sembra ruotare tutto attorno al messaggio ossessivo: «Guardate, hanno le rughe, ma sono ancora gli eroi del vostro passato! Ecco Luke che ha problemi e se ne va in ritiro a caso su un pianeta disabitato, ed ecco Han simpatico birbone che vive avventure spericolate insieme al suo fidato Chewie, ed ecco Leia che è Generale della Nuova Resistenza, oh, ha fatto l’upgrade!».

E voglio tacere dei camei assolutamente fuori luogo di personaggi come C3PO, ripescati fuori dall’armadio delle cose vintage che ci porteremo per sempre dietro dagli anni Ottanta, solo per essere magicamente sputtanati anche quando avrebbero meritato, piuttosto, di perire nell’oblio della memoria e risparmiarsi di comparire in questo sequel.

Qualcuno qui non ha fatto i compiti a casa

Il peggio non è soltanto che la smaccata “operazione nostalgia” fa acqua da tutte le parti e irrita così tanto la mia scimmia da farle urlare: «Perché Leia non è diventata Cavaliere Jedi?» più altri coloriti insulti a spron battuto per le due ore e rotte di durata del film.

Il peggio è che gli sceneggiatori neanche sembrano aver visto la pagina Wikipedia che contiene la sinossi dei tre episodi della trilogia storica, o non mi spiego il modo superficiale e facilone con cui hanno affrontato la scrittura di questa storia.

Non mi importa, come si è protestato da più parti, che Star Wars non abbia aderenza scientifica a ogni contesto e situazione ambientata nello spazio che si vede nel film. Non è questo che è Star Wars, non è un manuale di astrofisica per un corso universitario e il suono della Morte Nera che esplode nello spazio fa scena quindi tenetevi le vostre battute sul “nessuno può sentirti gridare nello spazio”. Io voglio sentire i botti, fossero pure solo il campionamento dei mortaretti buttati nel cortile la mattina della Vigilia di Capodanno.

Il problema è che “Star Wars VII” non è coerente con se stesso. Non è coerente con le sue premesse, non se la Forza da disciplina religiosa, filosofica, di combattimento si trasforma in un confuso mucchio di frasette motivazionali che sono il marchio di fabbrica di tutti i film Disney, mentre sei film a ripeterci che ci vuole allenamento per usare la Forza o brandire una spada laser in un combattimento di alto livello, tutte quelle menate sul difendersi e non attaccare, sul non cedere alla rabbia e all’odio, sul mantenere la calma e imparare a percepire e prevenire le mosse del nemico piuttosto che cacciarsi alla cieca in un duello senza uscita svaporano come neve al sole mentre Rey – ennesima protagonista femminile troppo sciapa, troppo mascolinizzata, troppo rabbiosa e troppo ansiosa di dimostrare che lei è brava, come se questo genere di messaggio non fosse già abbastanza deleterio di per sé – all’improvviso usa trucchi mentali che non ha mai visto fare a nessuno, lei che è completamente a digiuno di qualsiasi idea sulla Forza, combatte alla pari con un Kylo Ren, che si suppone fosse un buon apprendista Jedi e che ha ben più esperienza di lei, si arrabbia e colpisce con il solo intento di ferirlo, ucciderlo e fargliela pagare.

Mi si dirà: “Ma magari è uno spunto per quello che accadrà nei film successivi, per un’apprendista Jedi che cede al Lato Oscuro ma solo in parte, che sfrutta la rabbia in modo positivo, un nuovo modo di concepire la Forza”, ed è tutto molto bello ma niente durante il loro combattimento lascia presagire una svolta più profonda. Tutto lascia credere che, semplicemente, Abrams e gli sceneggiatori avevano voglia di farci vedere un bel combattimento a colpi di spade laser, giusto perché a tre quarti di film si sono ricordati che questo era pur sempre “Star Wars”.

E questo è solo un esempio della sciattezza totale in cui questo film è stato condotto, perché l canone precedente è stato bellamente ignorato, se non volutamente calpestato, e non si capisce per quale altro motivo se non far arrabbiare quegli stessi nostalgici che tanto si voleva allettare a colpi di Millennium Falcon (va bene, ok, mi sono commossa quando il Falcon s’è librato in volo nei cieli di Jakku, GIUDICATEMI).

Il peggio è quando smetti di considerare questo film una parte della saga di “Star Wars” (e quindi un successo assicurato, a prescindere, su cui si poteva giocare molto meglio e osare sapendo che un rientro economico ci sarebbe stato in ogni caso) e cominci a considerarlo un film a sé stante, le “Beghe Condominiali” di cui sopra.

Rivelazioni a caso, scene a caso, COSE a caso

Fingiamo che questo sia l’Episodio I di “Residents Quarrels”. Ciao, mi chiamo Raxi, ho visto questo nuovo film di fantascienza della Disney.

Cosa ne penso?

Penso che sia sciatto e scritto male.

I tre protagonisti non hanno un briciolo di originalità. Appena uscita dal cinema, sotto l’onda emotiva di un film che mi aveva devastata, avevo provato a dire che i tre protagonisti per lo meno mi erano piaciuti e che promettevano bene, a differenza dell’antagonista, che non prometteva e basta.

Dopo quattro giorni di botte da parte della mia scimmia, ho smesso di affermare anche questo. Semplicemente perché dei tre protagonisti abbiamo visto, anche in questo caso, soltanto la superficie più superficiale, macchiette che si muovevano a caso sullo schermo. Non so cosa mi abbia irritato di più: se i siparietti irritanti fra Rey e Han che si completavano le frasi a vicenda parlando del Falcon; se Finn, che parte con un background di tutto rispetto ma finisce per essere banalizzato in battute decisamente tristi, che gli fanno la figura del tontolone che una ne pensa e cento ne sbaglia; se Poe che si capisce fin dal primo fotogramma essere la copia sbiadita di Han Solo che, essendo ancora presente per buona parte del film, non ha bisogno di essere sostituito ancora. Quindi il nostro Poe Dameron scompare per ricomparire a mezz’ora dalla fine del film e informarci che, mentre il regista perdeva tempo a inquadrare la palla rotante di BB8, s’è salvato, è tornato a casa e ha pure contribuito a far saltare in aria la Starkiller.

È tutto fuori tempo, fuori tema, fuori luogo, fuori. Se effettivamente “Il risveglio della forza” doveva essere un ufficioso remake di “Una nuova speranza” allora perché proprio il senso del viaggio, della ricerca e della scoperta si sono persi? Perché così tanti temi buttati insieme in una volta sola, che rubano spazio a uno svolgimento sensato della trama e costringono le cose ad accadere assolutamente a caso, forzate da una casualità che non è la traccia di un presunto “volere della Forza” – c he guida Rey ad accettare il suo destino – ma l’effetto di una sciattezza imperdonabile, per un film che è costato tanto, ripartiva da una saga che gli assicurava un pubblico di fan che sarebbero andati in sala a prescindere (com’è poi accaduto) ed è stato comunque gestito da un regista, da sceneggiatori e da una casa di produzione che nel campo hanno esperienza?

Non c’è una singola scena di questo film che si connetta in maniera armonica con le altre e formi una storia fluida e scorrevole e se pure il momento in cui Kylo Ren uccide suo padre è, per assurdo, molto emozionale e molto ben gestito nonostante la poca bravura dell’attore chiamato a interpretarlo, diventa una scena così cruda e fuori luogo in un film i cui toni sono stati sciocchi e svaniti fino a quel momento, che non sai più che pensare, quando esci dalla sala.

Rimpiangere Jar Jar Binks

E su Kylo Ren voglio chiudere questa recensione-fiume, perché di “Star Wars” potrei parlare per ore ma abbiamo detto che dovevo analizzare questo film come se fosse una storia a sé stante. Ebbene “Il risveglio della Forza” ha tutti i difetti degli ultimi blockbuster sui supereroi prodotti dalla Disney.

Patinato, pieno di effetti speciali, frettoloso, ansioso di mettere troppa carne a cuocere per costringere il pubblico a ritornare in sala anche se non ha gradito lo svolgersi della storia, perché la curiosità risvegliata resta comunque tanta, superficiale, confusionario, giocato sulla presenza di una morte scioccante che gli dia la patina di improvvisa “serietà” che scompare dal resto del girato, piatto come nemmeno un disegno in 2D.

Soprattutto ha un antagonista da operetta, uno di quei mocciosi frignanti che pretendono di compiere un genocidio solo perché hanno problemi con la propria figura paterna di riferimento, che si rivoltano a un’apparente condizione di benessere personale e si ammantano di improvvisa cattiveria per ripicca.

Se questa descrizione vi ha fatto pensare al Loki dei film su “Thor”, ebbene, stavo parlando di Kylo Ren. E questo dimostra quanta poca attenzione e cura sia stata riversata nella costruzione dei personaggi del film. Non solo Kylo Ren sconta l’avere un attore che era più espressivo quando indossava la maschera e aveva la voce modificata; non solo sconta l’essere la bruttissima copia di un Darth Vader che non si capisce perché dovrebbe voler emulare, dato che ha compiuto il “gran rifiuto” di sottrarsi all’influenza dell’Imperatore e farlo fuori per il bene di suo figlio; soprattutto sembra scritto sulla falsariga di un certo cattivo che si porta molto nelle storie contemporanee, quello che si atteggia a incompreso senza aver davvero un passato che giustifichi tanta rabbia e tanto dolore, quello che “sento la Tentazione della Luce” e allora, andiamo, il foreshadowing scorre più potente della Forza e chissà in che modo, nel terzo film, si sottrarrà all’influenza del Lato Oscuro e tornerà a casa, perdonato e con tutti gli onori, questo figliol prodigo che in fondo si era solo smarrito.

Poi magari mi sbaglio.

Poi magari la Disney mi sorprende e corregge il tiro nei prossimi due film e non è solo tutta una questione di marketing, lo spin-off su Boba Fett e su Han Solo non sono fatti per tirare dentro altri soldi su pupazzetti, videogame, serie tv, serie a fumetti, pantofole, magliette, nonne in carriola griffate.

Poi magari domani mattina mi sveglio e la mia scimmia mi ha perdonata.

E quindi?

E quindi l’hanno già visto tutti, che vi devo dire? Che sono uno Slowpoke a guardare il film evento dell’anno e pure a lamentarmene. Quindi niente, resta la considerazione dell’introduzione: è un brutto film, che preso da solo sarebbe noioso, collegato ai suoi ben più illustri precedenti si rivela una presa in giro del fan medio.

Che però resta affezionato morbosamente. Si sa che quando sei innamorato fai un sacco di sciocchezze quindi, certo che andrò a vedere anche il sequel. E gli spin-off. E qualsiasi cosa la Disney deciderà di produrre, spremendo fino all’osso una delle saghe più care della mia infanzia, finché non ci sarà più niente da cavarne fuori. E io sono super-drammatica, magari molti fan e molti nuovi appassionati non saranno così clementi come me e la Disney sarà punita per questo azzardo di cattivo gusto e non cederemo tutti al Lato Oscuro del merchandising.

Di certo questo film non rende onore non dico a quelli della vecchia trilogia ma nemmeno a “La minaccia fantasma”. Anche Jar Jar Binks, al confronto di Kylo Ren, assume una sua dignità nella mia mente offuscata dal rancore. Di certo se un retcon originale di una leggendaria serie degli anni Ottanta volevate vedere, buttatevi su Mad Max: Fury Road. Di certo c’è solo che di questo film mi è rimasto molto poco e tornata a casa, dopo aver rivisto il VI Episodio ho avuto la sensazione che la capacità di costruire miti che facciano ancora sognare, che sappiano ancora appassionare e raccontare storie emozionanti e nuove, che non siano solo un’esca per una sontuosa campagna di marketing, non è più appannaggio di casa Disney.

No, Chewbe, qui non siamo per niente “a casa”.

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