Un gatto salvato è un tesoro trovato (forse)

la ricompensa del gatto - locandina

Ieri sono andata al cinema a vedere l’ennesimo evento promosso dalla Lucky Red per portare in Italia i lavori dello Studio Ghibli. L’ennesimo evento a 11€ al biglietto, che resta al cinema solo due giorni con il solito, pessimo adattamento di Gualtiero Cannarsi, che dà ottimi argomenti ai fan furboni e lamentosi di non foraggiare i passaggi cinematografici nostrani, salvo poi continuare a lamentarsi che questo Paese non capisce niente e al cinema passano solo Checco Zalone tutto l’anno.

E vabbè.

Ma basta con le polemiche, immergiamoci in un’esaltante recensione, perché questo film è quel genere di film che ti fa fare «Awww», mentre lo guardi, che ti coccola l’anima come una manina calda imbevuta di Vicks Vaporub sul petto o, in alternativa, come un bel sorso di cioccolata calda con aggiunta di panna. Quindi questa sarà l’ennesima recensione molto di parte ma cercherò di trovare qualche lato negativo, giusto per non scontentare i puristi.

Storie per gattofili incalliti

Trama in breve? Trama in breve.

Siamo sulla falsariga del maho shoujo per questa storia che può essere latamente considerabile uno spin-off di un precedente film, sempre dello Studio Ghibli, “I sospiri del mio cuore”, in cui la protagonista scriveva un libro che narrava le avventure di Barone, un pupazzo di gatto dalle sembianze umanoidi conservato nel negozio di un antiquario.

Visto il successo che avevano riscosso le poche sequenze animate in cui si mostravano le avventure fantastiche di Barone, fu proposto a Miyazaki prima di farne un cortometraggio che lanciasse un parco a tema sul Paese dei Gatti, progetto poi abbandonato. A quel punto si pensò di trasformare quell’abbozzo in un mediometraggio e ne fu affidata la realizzazione a Hiroyuki Morita, che lo ha poi fatto diventare un film vero e proprio.

La storia è quella di Haru, normale diciassettenne annoiata dalla vita e dalle sue giornate, che non sa bene qual è la direzione da dare alla sua vita. Haru adora i gatti (e come biasimarla) e un giorno si trova a salvare un bellissimo gatto nero dagli occhi bicolore, che sta per essere investito da un camion. La notte stessa un vero e proprio corteo di gatti, con tanto di gatti bodyguard col pelo bianco e nero, si presenta davanti casa sua e il messo del Re dei Gatti in persona – un gattone che dire inquietante è dir poco – le annuncia che riceverà una ricompensa per aver salvato nientemeno che l’erede al trono.

Peccato che i gatti siano, beh, gatti e abbiano un’idea un po’ particolare del concetto di “ricompensa”, un concetto molto felino, che prevede anche la mano (pardon, la zampa) del principe Lund. Prevedibilmente Haru non è molto portata per il furry e una voce misteriosa giunge in suo soccorso, invitandola a rivolgersi all’Ufficio dei Gatti, chiedendo indicazioni a un grosso gattone bianco che… sì, è lui, il mitico e capricciosissimo Muta di “I sospiri del mio cuore”. E parla! In italiano ha la splendida voce di Massimo Bitosso e a sentirlo rivolgere le prime frasi alla protagonista con un tono tanto profondo, scappa da ridere.

Poi, niente, finalmente Haru fa la conoscenza del corvo imperiale Toto ma soprattutto di Barone, anzi, il Barone Humbert von Gikkingen, il protagonista della storia fantastica di “I sospiri del mio cuore”, che al suo fascino malinconico e severo nell’adattamento italiano aggiunge anche la voce – pure qui notevole – di Andrea Lavagnino. Alla fine Barone, Muta e Toto accompagneranno Haru nel Paese dei Gatti e lì dovranno aiutarla a sfuggire dalle capaci e capricciose grinfie del Re dei Gatti, con il supporto di alleati insospettabili.

Una favola moderna densa di battute divertenti

Insomma, quello che ci si troverà davanti è un mix fra Alice nel Paese delle Meraviglie, il folklore giapponese e quei film Disney con animali umanoidi come protagonisti (tipo Robin Hood), ma senza buonismo disneyano e con un realismo che ben s’intreccia all’atmosfera pulita e lineare che hanno molti dei film dello Studio Ghibli, quel genere che ti rimette in pace con il mondo per l’ora e mezza di visione.

Non considererei questo film disneyano soltanto perché c’è ben poca traccia del buonismo o della voglia di passare una morale a cui siamo abituati. “La ricompensa del gatto” è quello che si può definire un film senza pretese, sì, ma nel senso buono del termine. Siamo di fronte al tipo di pellicola che ha semplicemente voglia di raccontare una storia fantastica al suo spettatore e lo fa.

Sì, è presente sottotraccia il tema della crescita e dell’accettare se stessi e il proprio posto nel mondo – soprattutto perché Barone è così affascinante che Haru si trova tentata a voler restare gatta a vita e qui si potrebbero aprire inediti scenari di cui taceremo per non turbare la sensibilità del lettore – ma soprattutto i personaggi raffigurati sono dipinti con molta e diretta onestà.

Il Re dei Gatti è un depravato, tanto per cominciare. Moon o Muta che dir si voglia è un mangione menefreghista dal cuore d’oro, sì, ma a piccole dosi e solo per chi dice lui. Qui ci sono gatti gettati fuori dalle finestre reali perché hanno avuto l’ardire di ridere al momento sbagliato, truppe di gattoni nerboruti poco raccomandabili e in generale nel Paese dei Gatti sono tutti un po’ fuori di testa (o forse semplicemente troppo gatti per i nostri gusti umani) né l’arrivo di Haru, Barone e Muta è destinato a innescare un cambiamento che era già in atto (Lund, il bel figlio del Re, sembra essere decisamente più posato e ragionevole di suo padre).

È una storia piacevolissima, che scorre alla visione come un ruscello d’acqua fresca, che fa ridere, che occupa un’ora e un quarto del tuo tempo, avvincendoti senza chiedere troppo della tua partecipazione. Il dramma si sfiora ma non si cade mai davvero nella tragedia ed è questo il bello. Il film non ha improvvisi rivolgimenti oscuri per cercare di nobilitarsi ma racconta la sua semplice e bizzarra avventura restando sempre coerente con se stesso. Soprattutto, ha il pregio di introdurre personaggi interessanti, tratteggiandoli attraverso situazioni comiche e battute paradossali che di risate ne strappano parecchie, probabilmente agli adulti molto più che ai bambini.

E quindi?

E quindi se non siete puristi inviperiti del genere che pretendono solo capolavori dallo Studio Ghibli e non vi urta un’animazione più rozza e lineare, se avete voglia di passare un po’ di tempo in modo spensierato e non guardate un film solo se è una retrospettiva neo-realista coi sottotitoli in russo, “La ricompensa del gatto” merita sicuramente.

È un film divertente, fresco, dai modi spicci e soprattutto una manna per qualsiasi gattofilo in circolazione. Ha una bella storia e dei personaggi che catturano, peccato solo per l’adattamento pretenzioso di Gualtiero Cannarsi che, sì, colpisce ancora, con termini ricercati gettati nelle conversazioni di moderni diciassettenni in modo assolutamente fuori luogo e costruzioni verbali con inversione soggetto-verbo più che ardite, sgrammaticate. Viene da mordersi le mani, visto quanto azzeccate sono state le voci – come sempre, da questo punto di vista.

Mi chiedo perché continuare ad affidare un lavoro delicato come l’adattamento a individui tanto pretenziosi e ignoranti, che usano il vocabolario dei sinonimi e contrari come arma impropria per disagiare lo spettatore.Il resto, però, questo film continua a meritare, sì, anche con gli strafalcioni del Gualty.

Poi, insomma, non venitevi a lamentare con me se Barone induce in tentazione anche voi.

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