La guerra civile è solo fra le intenzioni degli sceneggiatori

Civil War - Locandina

Io non avevo grandi aspettative su questo capitolo dell’MCU. Nonostante fosse tratto da una saga fumettistica che mi era piaciuta molto, avevo visto cosa era stata in grado di combinare la Disney con Age of Ultron e mi ero messa l’animo in pace. Fra attori poco convinti, scene di lotta molto confuse e poco soddisfacenti, troppi fili d’intreccio sbattuti dentro tutti assieme, non mi aspettavo nulla di positivo.

Non sono una purista, il cinema è un medium diverso dal fumetto, in due ore e mezza non puoi ficcarci dentro un universo intero di personaggi e sperare che i fan di recente acquisizione ci capiscano qualcosa, devi operare dei tagli, cambiare delle scene, l’importante è non tradire lo spirito della storia originale.

Ecco, scordiamoci tutto. L’unico elemento su cui mi sbagliavo erano gli scontri, che in questo film sono stati molto coreografici e soddisfacenti. Per il resto, beh… andiamo a guardare la recensione, che è meglio.

[ATTENZIONE, RECENSIONE FITTA DI SPOILER COME GLI AGHI DEL LETTO DEL FACHIRO]

La trama in breve

Durante una missione a Lagos per il contenimento di un gruppo di terroristi, Wanda Maximoff, nel tentativo di fermare uno di loro che minaccia di farsi esplodere con una bomba, invece di minimizzare le vittime finisce per coinvolgere nell’esplosione e far morire undici ambasciatori del Wakanda. L’incidente è solo l’ultimo di una serie di danni collaterali agli interventi degli Avengers in giro per il mondo e così un Tony Stark tormentato dai sensi di colpa – personificati da una madre che gli sbatte in faccia la morte dell’amato figlio negli scontri di Sokovia – decide di rivolgersi al Segretario di Stato Ross e con lui redigere la bozza degli Accordi di Sokovia, che andranno firmati da tutti gli Avengers e che porrà la task force supereroica sotto il controllo dell’ONU.

I dubbi si sollevano tutti nella persona di Steve Rogers, che vede questo controllo come una limitazione pericolosa, non solo perché non permetterebbe loro di intervenire ovunque e non appena si palesa una qualsiasi minaccia, ma anche perché li porrebbe sotto la direzione di istituzioni che potrebbero essere interessate a proteggere se stesse più che i cittadini. Se però lo scontro si rivela, a tutta prima, puramente verbale, è l’inaspettato attentato alla sede ONU di Vienna, che uccide Re T’Challa, a inasprire i toni. La colpa dell’attentato viene addossata – grazie ad alcune telecamere di sicurezza – sullo scomparso e mai ritrovato Bucky Barnes e così Steve Roger si mette alla caccia del suo migliore amico, per salvarlo da chi vuole sbatterlo in galera sulla base di prove molto indiziarie.

Se però i guai sembravano finire qui, ecco spuntare dalle ombre lo sconosciuto Helmut Zemo, che dopo aver raccolto quaderni e prove sull’attività del Soldato d’Inverno quando era ancora impiegato dall’Hydra, sembra convergere nello stesso luogo dove Bucky è attualmente detenuto.

Aggiungi un posto a tavola, che c’è un eroe in più

Non farò comparazioni col fumetto, nonostante la saga toccasse temi molto complessi in modo molto più controverso ma anche più serio del film. Non farò comparazioni con BvS, nonostante i critici abbiano voluto rimarcarlo più volte, nonostante la Disney stessa abbia affrettato i tempi d’uscita di questo film, nonostante BvS affrontasse la crisi del concetto di supereroe da una prospettiva – volendo – più mistica, parlasse di divinizzazione di figure apparentemente onnipotenti, mentre Civil War avrebbe dovuto affrontare l’aspetto politico e giuridico dell’illimitata libertà d’azione di un gruppo di esseri umani ultra-potenti.

Parlerò invece di come Civil War sia stata una prova sciatta e deludente sotto ogni prospettiva, che si tratti di costruzione e tenuta della trama, che si parli di scelta del genere o anche – e qui ci si addentra su un campo più personale di etica e morale – di come affronti in maniera superficiale il tema del controllo dell’azione di quelli che sono esseri umani prima di essere potenziali armi di distruzione di massa e decida di tenerlo come pretesto per ben poco, prima di imboccare tutt’altra direzione.

Civil War è un film isterico è saltellante, prima di tutto nella gestione della trama. Oscilla fra l’action movie e il thriller psicologico senza riuscire a pescare il meglio da nessuno dei due generi. Non ha l’asciutta compattezza dell’action movie, non riesce a tenere sempre la tensione alzata al massimo, proprio nel tentativo di dare spazio alla riflessione, risicata in pochi dialoghi, messi al momento sbagliati e condotti in maniera poco intelligente. Le scene d’azione, pur coreografiche e in alcuni casi di fortissimo impatto – a differenza di Age of Ultron, che si era dimostrato carente anche da questo punto di vista – sono spesso svolte a velocità aumentata, quasi a volerne comprimere lo spazio per infilarne più di una in un tempo ristretto, quanto può esserlo le appena due ore e mezza in cui si è cercato di parlare di tutto e il contrario di tutto.

La trama eclettica e confusionaria si rivela in tutta la sua contraddizione in un finale anticlimatico, dove la storia non prende posizione, e non nel senso positivo del termine – ovvero del lasciare allo spettatore la possibilità di tirare le fila del tutto e decidere da che parte stare – ma nel senso negativo di finale aperto, che prepara la strada agli stand-alone su Pantera Nera e Spiderman e ai due coralissimi capitoli di Infinity War, dove naturalmente l’arrivo del cattivo mega-potente di turno farà dimenticare ai nostri qualsiasi distanza, per farli riunire sotto il segno del “proteggiamo la Terra e i terrestri”. Il dramma dei genitori di Tony viene buttato in faccia allo spettatore all’improvviso, in maniera fin troppo opportuna, quando serve a ridurre tutto il portato della guerra civile a un regolamento di conti interno e personalissimo fra Tony, che vuole uccidere Bucky Barnes, e Steve, disposto a proteggere l’amico a tutti i costi, anche a costo di violare ogni regola e buon senso solo per rivelarsi un fuorilegge irrispettoso della norma costituita.

I fili d’intreccio sono troppi, troppe le suggestioni, troppi gli avversari. Non si capisce chi è il nemico di questo film: stiamo parlando di due visioni contrapposte dell’essere supereroe che si contrappongono? Stiamo parlando di due amici che si confrontano sulla protezione o l’esclusione di un terzo da un gruppo, che annovera al suo interno altre potenziali minacce, graziate nonostante non possano – a differenza di Bucky – invocare il lavaggio del cervello? Stiamo parlando della vendetta di Helmut Zemo, che decide di uccidere altre persone per vendicare la sua famiglia, morta negli scontri di Sokovia? Vogliamo ricordare agli sceneggiatori che tutta la sceneggiata di Sokovia fu tirata su per mostrare come gli eroi avessero – scelta che nell’economia di battaglia è sbagliatissima – preferito occuparsi prima di evacuare tutti i civili e prendersi tante botte dai cloni di Ultron, proprio per evitarne la morte? Che nel tentativo di salvare una famiglia, Pietro Maximoff avessero perso la vita, dimostrando che i supereroi avevano fatto il massimo per proteggere la popolazione da una minaccia – e lì sì che ci sarebbe stato motivo di parlare di parecchie contraddizioni – che era partita proprio da Tony Stark e dalla sua incauta idea di giocare a fare il dio creando un’AI che controllasse la vita delle persone?

Il film non ingrana mai davvero la quinta, nonostante gli scontri siano spettacolari, ma va costantemente a singhiozzo, un problema che avevo già riscontrato in BvS ma che qui risulta amplificato dal fatto che i personaggi sono troppi, e tutto risulta appiattito su uno stereotipo. Natasha è sempre esitante, Hawkeye è un punching ball che prende botte a destra e a manca e sputa sentenze, Wanda è la supereroina troppo forte che tutti temono, Visione è l’AI che dovrebbe dimostrare la sua razionalità con frasi del genere “secondo il mio algoritmo” ma alla fine si dimostra inconcludente, con battute esitanti e scelte molto poco razionali. E poi ci sono Falcon e Rhoodey, le due spalle “di colore”, che si limitano a ubbidire agli ordini del capo; c’è Ant-man che è di base un fanboy entusiasta che si fa poche domande, c’è Cap che ormai è la controfigura di se stesso, il riassunto di tutti i peggiori stereotipi del fandom più ignorante su Capitan America. C’è Spiderman, un quindicenne immaturo che non c’entra nulla né con l’Uomo Ragno di Tobey McGuire, né con quello di Andrew Garfield, non ha nulla di davvero sofferto, è solo un bimbo presuntuoso che gioca a fare l’eroe e segue Tony Stark senza farsi troppo domande (e dire che lo Spiderman del fumetto aveva subito molti e dolorosissimi contraccolpi dalla sua scelta di aderire all’atto di registrazione). Paradossalmente in un film che dovrebbe essere intitolato a Capitan America, a spiccare è solo Iron Man, questo Tony Stark già protagonista assoluto dei primi due Avengers, che si mette da solo in stato d’accusa e si auto-perdona prendendo decisioni per gli altri. Sarebbe facile stare dalla sua parte, in fondo ha ragione, i supereroi dovrebbero sottostare a delle regole e non comportarsi da vigilantes con poteri autonomi, ma alle regole di chi dovrebbero sottostare?

È qui che sorge la contraddizione più grossa, perché contraddittoria è l’esistenza stessa del supereroe, che vive in un mondo pieno di ingiustizie ma si abbassa a fare semplicemente da boyscout di quartiere, lavorando per un sistema che nella realtà non è solo imperfetto ma spesso oppressivo e sleale sotto più aspetti, scegliendo – in fondo – di non intervenire per davvero e trincerandosi dietro la scusa che “gli esseri umani devono decidere da soli”, paternalista quanto lo era la scelta di Tony Stark, Mr Fantastic e Charles Xavier – nel fumetto – di controllare tutti i supereroi per l’ordine e il Bene Superiore dell’umanità. Ma per lo meno nel fumetto essi sceglievano, si schieravano, e altrettanto faceva Cap con chi gli restava a fianco.

La Disney invece decide di non sporcarsi troppo le mani, perché davvero c’è il rischio di far venire a galla troppe conflittualità, e butta dentro di tutto: alla fine la causa della Civil War è esterna, viene dai “cattivi”, dal senso di vendetta di Zemo, dal suo usare Bucky come pedina per far litigare Cap e Tony, che altrimenti avrebbero concordato di adeguarsi alla fine entrambi agli Accordi per farsi buona pubblicità presso l’opinione pubblica. Nessuno qui sembra muoversi seguendo un sistema di pensiero, tutti agiscono sotto l’onda di sentimenti momentanei: e se Pantera Nera in fondo è l’unico giustificato a farlo, avendo perso il padre in un crudele gioco di vendette, anche Cap e Tony fanno lo stesso, muovendosi l’uno sotto l’onda dei rimorsi per aver perso i genitori senza averli amati abbastanza; l’altro nel disperato tentativo di recuperare l’ultimo pezzo di passato che ancora è rimasto in vita. Nessuno prova a dialogare per davvero, tutti sembrano fare la scelta più sbagliata senza pensarci due volte solo per mandare avanti una trama che, se si fosse appoggiata sul buonsenso, non avrebbe potuto prendere la direzione che ha preso.

Lo stesso Helmut Zemo, cavato dentro a forza per dimostrare che in fondo anche la colpa della guerra civile non è imputabile a un problema interno ai supereroi ma a un intervento esterno, è appiattito sullo stereotipo della stessa vendetta familiare che muove T’Challa; Iron Man vuole uccidere Bucky per vendicare i suoi genitori; Cap vuole proteggere tutto ciò che della sua famiglia gli è rimasto, ovvero lo stesso Bucky; insomma sembra che la famiglia sia l’unico motore primo di ogni azione, un sintomo di pigrizia creativa davvero grave.

Certo le gag sono tantissime, alcune irresistibili, ma se avessi voluto guardare una puntata di HIMYM o di TBBT non sarei andata al cinema a pagare nove euro di biglietto per questo. Avrei aperto un qualsiasi sito di fanfic e avrei letto una bella storia comico-demenziale. E a dimostrazione di quante, troppe cose questo film sia stato riempito – come un tacchino ripieno sul punto di esplodere – il bacio fra Sharon e Steve si rivela non solo fuori dal mondo ma grottesco, se si pensa che il Capitano sembra valutare l’Agente Carter sotto un profilo romantico solo dopo averne scoperto la parentela con l’amata e mai troppo compianta Peggy Carter.

E poi la recitazione. A parte RDJ – che ormai è un tutt’uno con Tony e sembra vivere molto bene il suo ruolo di preminenza nella trama – tutti gli altri attori sembrano poco convinti di recitare. Chris Evans in particolare e in più di un’inquadratura pare mettere su un’espressione da “ma che ci faccio qui”, e più o meno tutti risentono dello stesso problema riscontrato in Age of Ultron, quasi che ormai troppi contratti e troppi film sotto la direzione di Casa Disney abbiano stancato questi attori, intrappolati in ruoli sempre più rigidi e tipizzati nel modo più odioso possibile. Certo ci sono felici eccezioni, come Elizabeth Olsen, che offre una prova sempre più convincente della sua Wanda, spaventata ma allo stesso tempo desiderosa sia di capire i suoi poteri sia di essere accettata; e come Sebastian Stan, dopotutto, che nonostante le costrizioni di una trama asfittica, ha dimostrato tutti i turbamenti e le sofferenze di un Bucky che ha preso tridimensionalità nel corso della vicenda, dimostrando di non essere semplicemente un “bello e dannato”, di voler vincere il controllo mentale che lo ha reso una macchina.

Tutto il resto, purtroppo, è tantissima sciattezza e la dimostrazione che se si vuole davvero toccare temi difficili, o ci si assume la responsabilità di portarli fino in fondo o li si usa come specchietti per le allodole, per dare l‘impressione che l’ennesimo film di botte da orbi abbia un “qualcosa in più” che nella realtà non possiede.

E quindi?

Il cinema supereroistico soffre di moltissimi problemi. Tralasciando la questione più importante, che è questione genetica e riguarda la visione stessa del supereroe nella letteratura americana, e soffermandoci su aspetti più tecnici, sia BvS sia CW hanno finora dimostrato di soffrire della sindrome del DLC: film monchi, troppo pieni di suggestioni, che possono essere esplorate pienamente soltanto nella versione uncut, spesso lunghissima e creata appositamente per ridare vita al mercato dell’home video sempre più in crisi.

Soffre anche di un altro problema, che è lo strapotere della Disney, per anni rimasta praticamente incontrastata nel campo della filmografia supereroistica, e i cui effetti negativi si risentono nella gestione dei capitoli più recenti dell’MCU: superficialità, sciattezza, super-semplificazione, tipizzazione estrema dei personaggi, esigenza spasmodica di infilare elementi che rimandino continuamente a un capitolo successivo, trasformando il classico “finale aperto” in un taglio inconcludente di una serie di vicende disordinate.

Se però la DC Comics con la Warner e la 20th Century Fox con i film degli X-Men e Deadpool hanno dimostrato – pur con i dovuti scivoloni – che confezionare prodotti più adulti era possibile; se film come la trilogia del Cavaliere Oscuro hanno ricordato che si possono fare riflessioni interessanti e controverse sul ruolo dell’eroe mascherato nella società contemporanea; la Disney ha dimostrato che il suo formato privilegiato resta quello da animazione poco impegnata, film action che si rivelano pessimi adattamenti di storie che vengono tagliate con l’accetta, per avere un’allure il più internazionale, disimpegnata e generalista possibile.

Civil War ha sfruttato male un plot che meritava di essere sviluppato con più attenzione e meno dispendio di cattivoni. Non ha nulla di innovativo, alla fine dei conti, perché il punto che poteva essere davvero centrale – cosa succede quando i buoni si mettono a litigare fra loro – è stato rovinato da motivazioni effimere e dall’introduzione di un esterno che alla fine riporta tutto a unità: i buoni non litigherebbero, se il cattivo non li ingannasse e/o non li manipolasse giocando sulle loro debolezze più profonde. Come dimostra la lettera di Steve e il suo trovare un nuovo e ricco padrino nel Re di Wakanda, alla fine quello che conta è proteggere la Terra, e Iron Man e Cap lo faranno da due lati opposti della barricata ma sempre attenti a tenere su un sistema iniquo e sbagliato e senza mai porsi il problema se sia poi così paternalista voler cambiare le cose alla base e per davvero.

Civil War non si meriterebbe nemmeno i miei strali, se la Disney non lo avesse ostentatamente presentato come un film profondo e complesso, che avrebbe vinto lì dove BvS aveva fallito – o così dicono loro. In realtà i difetti di BvS ci sono tutti in CW, che aggiunge a tutto ciò lo sberleffo costante, la tentazione fuori posto ad alleggerire qualsiasi scontro, anche quando bisognerebbe fare sul serio, anche quando si cerca di conferire atmosfere più dark alla vicenda. Civil War ha avuto ben dodici film per preparare il suo terreno ma si sente come questo capitolo non andasse anticipato, come la vicenda di Bucky andasse trattata separatamente in un terzo capitolo, quello sì dedicato al Capitano. Come questo era un film dedicato a tutti gli Avengers e che di tutti dovesse poter parlare in modo meno affrettato.

I buchi di trama sono tanti, troppe cose vengono date per scontato, i salti logici sono parecchi. Non si capisce perché Tony Stark debba mettere in pericolo un quindicenne, se non perché la Disney lanci lo stand-alone su Spiderman attraverso un bel marchettone pubblicitario in CW; non si capisce questo Ant-Man tirato dentro a forza, non si capisce perché Wanda, di fronte alle accuse di inefficienza a Sokovia, non abbia ricordato la morte dell’amato fratello. Non si capisce come Helmut Zemo si spacci per psicologo e scateni la furia di Bucky senza neanche modificarsi i tratti del viso e nessuno, nella super-struttura segreta, si occupi di fargli un riconoscimento facciale.

E le contraddizioni potrebbero continuare all’infinito (Natasha Romanoff scompare dopo il suo diverbio con Tony e non si sa che fine faccia; non si sa perché Tony non tracci il cellulare che gli invia Steve, sapendo cosa gli ha taciuto a proposito di Bucky, né come abbia fatto Zemo a scoprire tutto quello che sa sull’Hydra e via discorrendo) e non sono contraddizioni che nascono dal non aver seguito con attenzione il film ma dalla consapevolezza che nulla ci è stato spiegato fino in fondo, troppe cose sono state date per scontate, mostrate off-screen, nei tagli o semplicemente date per assodate e basta.

Non posso neanche definire CW un action movie di buona fattura, troppo pretenzioso, troppo confusionario, sicuramente non segna una buona pagina nella storia del film supereroistico, semmai dimostra che, secondo le major e il pubblico generalista, le storie di supereroi sono buone solo se trattano in modo facilone e sconclusionato di botte coreografiche e si ammantano di un finto sostrato ideologico.

Senza indagarlo troppo a fondo o le contraddizioni esplodono per davvero.

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