Teoria per uno studio ragionato delle tecniche e tecnologie che animano il movimento

Retreat (Miyazaki). Rebuild (Anno). Reset (CLAMP).

Se si volesse trovare un modo per riassumere l’imponente – circa trecentoventi pagine, al netto di note e bibliografia – saggio di Thomas Lamarre sulla “macchina animetica”, questa frase sarebbe quella giusta. Con questi tre concetti Lamarre chiude le conclusioni del suo libro e del suo viaggio nell’animazione o, meglio ancora, nella macchina che sta alla base dell’animazione. La macchina multiplanare animetica (multiplanar animetic machine, nel testo originale) è una macchina costituita dal tavolo da animazione (animation stand, in inglese) dalla camera multipiano e dagli esseri umani, che disegnano sfondi, animazioni-chiave e intercalazioni.

Il fulcro del discorso di Lamarre, tuttavia, ciò che lo ha spinto a stendere questo saggio, è la volontà di andare oltre le modalità consuete di critica e analisi dell’animazione – in particolar modo dell’animazione giapponese. L’autore punta il dito contro il vezzo (e vizio) di troppi commentatori di concentrarsi solo sull’aspetto narrativo di film e serie di animazione, oppure sul character design e sullo stile artistico, o ancora sulle forze sociali, politiche, economiche che sottendono la produzione degli anime.

Quello che la critica dell’animazione dimentica nelle sue analisi sono le tecnologie con cui si crea l’animazione, l’approccio che un autore adotta per disegnare il movimento, l’importanza che rivestono i diversi livelli che compongono l’immagine animata. Lamarre sottolinea con forza il concetto di compositing, la tecnica con cui si compongono, appunto, i diversi livelli di sfondo, intermedi e di primo piano, per ricreare non solo gli effetti di profondità ma anche e soprattutto il movimento dei personaggi.

Per portare avanti il suo discorso, però, Lamarre inquadra il suo studio prima di tutto in una cornice filosofica molto rigorosa e qu tocca fare un passo indietro. The Theory of Anime Machine è un testo tutt’altro che semplice da consultare, di quelli che richiedono una lunga ruminazione e vanno studiati, come il testo di un esame universitario. La barriera linguistica diventa un ostacolo importante per un lettore che non è madrelingua inglese – e il registro di questo professore di studi dell’Asia Orientale è accademico e complesso.

The Anime Machine: Copertina
La copertina del libro di Thomas Lamarre

Eppure, questa “Teoria della Macchina Anime” merita la lettura soprattutto da parte di chi vuole studiare e commentare l’animazione giapponese, perché offre una prospettiva tutt’altro che scontata sui meccanismi del disegno animato. E lo fa prima di tutto partendo dalla critica cinematografica – che invece ha molto diffusamente analizzato le tecnologie e le tecniche del cinema – e introducendo i due concetti base di cinematismo e animetismo, due approcci completamente diversi alla raffigurazione del movimento. Lì dove il cinematismo inquadra il mondo come osservato “dalla punta del proiettile”, l’animetismo propone invece una visione “laterale” della velocità, fatta di differenti piani che scivolano gli uni sugli altri.

Queste tendenze vengono riprese nel mondo dell’animazione, dove Lamarre individua una corrente classica, inaugurata dalla Disney, che si basa proprio su un’imitazione pedissequa dell’inquadratura della telecamera con lente monoculare usata nel cinema. All’altro lato dello spettro, tuttavia, c’è una certa corrente – soprattutto dell’animazione televisiva – che anche per motivi economici “apre” lo spazio fra i livelli dell’immagine animata e crea il movimento spostando gli elementi da un lato all’altro dello schermo, una tendenza fortissima nel cinema d’animazione del maestro Hayao Miyazaki.

Da qui, a cascata, il discorso si tripartisce in tre sezioni fondamentali, ognuna dedicata a un autore (o collettivo di autori, nel caso delle CLAMP) diverso e al suo approccio alla tecnologia, non solo dell’animazione. Lamarre, infatti, non si limita a raccontare le diverse tecniche di resa del movimento ma le intreccia al pensiero filosofico che ne sta alla base e che condiziona le soluzioni che ogni autore adotta per affrontare quello che, rifacendosi a Martin Heidegger, Lamarre non definisce un problema, ovvero la tecnologia, ma una condizione inevitabile che l’essere umano deve affrontare e rielaborare.

E Lamarre parte proprio da Heidegger, per descrivere l’approccio di Miyazaki all’animazione e alla tecnologia, mentre per Hideaki Anno la connessione rintracciata è con le correnti post-Heideggeriane e, ancora, Chobits delle CLAMP viene associato a Jacques Lacan e alla teoria psicanalitica del cinema. Il discorso potrebbe apparire forzato ma il professore non ha nessuna intenzione di sostenere che, ad esempio, Miyazaki sia heideggeriano, quanto che nelle sue narrazioni vengano adottate strategie e soluzioni che si avvicinano ai principi del pensiero del filosofo tedesco.

La tecnologia, e la sua rielaborazione nella filosofia personale di questi autori, è il filo rosso che lega tutti i ragionamenti di Lamarre e la sua analisi rispettivamente di Laputa – Il Castello nel Cielo, Nadia e il Mistero della Pietra Azzurra e Chobits, proprio per dimostrare quanto le tecniche d’animazione e gli espedienti adottati in queste storie influenzino a livello profondo anche la trama e il suo.

Lamarre, tuttavia, non dà mai giudizi di merito sulle tecniche adottate e cerca di abbattere i pregiudizi che hanno limitato la discussione sull’animazione, a cominciare dalla falsa distinzione fra animazione piena e animazione limitata – falsa, nella misura in cui cerca di stabilire che la prima sia quella artistica e “legittima” e la seconda quella commerciale e “sbagliata”. Lamarre, insomma, apre la mente del suo lettore, costringendolo ad affrontare lo studio degli anime da una prospettiva sicuramente meno scontata e anche meno elitaria di quella offerta persino da grandi maestri, come lo stesso Miyazaki, che snobisticamente continuano a distinguere fra un modo giusto di animare – quello dei “film manga” (manga eiga, in giapponese) – e un modo sbagliato – quello degli anime prodotti per la televisione.

Il risultato finale è un testo complesso e molto denso, che al lettore richiede persino qualche sforzo personale di approfondimento, per inquadrare meglio i concetti filosofici e di critica cinematografica espressi da Lamarre. È tuttavia uno sforzo che vale la pena fare, perché Theory of Animation si rivela sicuramente uno strumento utile per arricchire la critica al mondo dell’animazione, partendo da una prospettiva più strutturata e meno basata su una tanto poetica quanto amatoriale analisi delle emozioni e dell’aspetto estetico, che tralascia tutto il lavoro tecnico impiegato per la creazione di un film d’animazione.

Pur essendo stato pubblicato nel 2009 e ignorando quindi tutti i cambiamenti che la nascita e il diffondersi delle piattaforme di streaming hanno comportato, Lamarre spende un pezzo importante della sua trattazione per parlare di come le tecnologie di riproduzione e registrazione dell’immagine (a cominciare dal videoregistratore) abbiano rivoluzionato l’approccio dei consumatori al prodotto d’animazione – e anche alla sua scomposizione e analisi in fotogrammi. E in certe riflessioni sul mercato dell’animazione e sull’evoluzione delle serie TV – progressivamente più concentrate sui personaggi che sulla trama – Lamarre anticipa le tendenze portate avanti dall’affermarsi di realtà come Netflix e del fandom sul web.

Sarebbe riduttivo cercare di condensare in poche righe tutto il discorso sul concetto di kyara-moe e di “corpi espressivi” (soulful bodies, nel testo originale), che hanno segnato la trasformazione dei personaggi in database, da cui gli otaku estraggono i proprio elementi preferiti, per smontarli e rimontarli in combinazioni e modi sempre nuovi. Sarebbe riduttivo ma dimostra come le riflessioni di Lamarre aprono la strada a discorsi collaterali, che forse si allontanano dal tema tecnologico, a lui molto caro, ma che sfociano in altri ambiti del mondo dell’animazione, che coinvolgono anche i suoi spettatori.

Una lettura specialistica ma consigliatissima, per cominciare a spingersi più a fondo nella trattazione e nello studio del variegato mondo degli anime.

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