Cosa c’entra la Disney con la morte di un capolavoro mancato?

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Il 17 agosto 2019 è morto a New York Richard Williams. Valente animatore, i più potrebbero ricordarlo per il suo lavoro di direttore dell’animazione di quel caposaldo del cinema d’animazione che è “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”.

Per quel lavoro Williams aveva vinto due Premi Oscar nel 1989 (Migliori Effetti Speciali, insieme ai colleghi Ken Ralston, Ed Jones e George Gibbs, e uno Special Achievement Award) che si aggiungevano alla statuetta per il Miglior Cortometraggio d’Animazione, vinta nel 1973 per “A Christmas Carol”. Il successo che derivò da quel film, però, doveva essere per Williams solo una base avanzata da cui partire per raccogliere fondi, forte di un’aumentata credibilità, al fine di rilanciare il suo progetto più ambizioso: il completamento del suo film d’animazione indipendente, realizzato senza appoggiarsi a una realtà come la Disney, per cui pure aveva lavorato per realizzare il film su Roger Rabbit.

Quel progetto era in lavorazione dal 1968 e nel frattempo aveva cambiato trama, animatori, titolo, mentre rimaneva costante l’incrollabile perfezionismo di Richard Williams, che voleva realizzare un prodotto dall’animazione fluida e curatissima, dove nulla fosse lasciato al caso, nulla fosse arrangiato alla bell’e meglio, foss’anche solo per rispettare i tempi di consegna e non sforare dal budget imposto.

La storia della lavorazione di “The Thief and The Cobbler” (Il Ladro e il Ciabattino) merita un paragrafo a parte di questa recensione, ma andiamo per ordine e cominciamo dalla trama, prima di analizzare tutte le vicissitudini che il film ha attraversato nel mondo reale.

La leggenda delle sfere dorate

“The Thief and The Cobbler”, pur ispirandosi alle favole di Mulla Nasruddin e a tutto il comparto filosofico e favolistico della letteratura sufistica (il misticismo islamico), ha una trama abbastanza semplice. C’è un manufatto magico – Tre Sfere Dorate infilate sulla punta del minareto più alto – che protegge Golden City (La Città Dorata). Finché resteranno lì, nessuno potrà invadere la città, che resterà prospera e felice.

Nella Città Dorata, governata dal ricco (e sonnolento) Re Nod (annuire, in inglese), abita un Ladro, che non ha nome né voce ma uno smodato istinto cleptomane e un insaziabile appetito per gli oggetti preziosi, e un onesto ma un po’ goffo ciabattino, Tack (letteralmente “chiodino”). Un giorno, per una sfortunata serie di eventi, Tack si attira le ire del perfido Gran Visir ZigZag ma il tempestivo intervento della Principessa YumYum, lo salverà – almeno temporaneamente – dalle sue cerulee grinfie.

ZigZag è affamato di potere, quanto l’innominato Ladro lo è di gioielli preziosi, e vuole sposare la principessa per ereditare il trono che le spetta. E se Re Nod non è disposto a concedergli la sua mano, il Gran Visir (accompagnato dal suo fedele e inquietante avvoltoio, Phido) è pronto a ricorrere a qualsiasi aiuto, pur di governare sulla Città Dorata. Arriverà persino a consegnare le Tre Sfere Dorate a Mighty One-Eye (il Potente Occhio-Solo), capo dell’omonima tribù barbara degli Occhio-Solo, che si prepara ad assediare la sua città con una temibile macchina da guerra.

Un solo eroe può salvare la Città Dorata, una persona dal cuore puro e semplice, e può farlo utilizzando il più semplice degli oggetti. E quell’eroe, ovviamente, è Tack il Ciabattino.

Tutto il resto è storia. Una storia che è disponibile gratuitamente su YouTube a questo indirizzo (ed è anche scaricabile da questo sito) (EDIT del 05/09/2020: una versione doppiata in italiano è disponibile in streaming legale qui), in maniera legale – e comunque col beneplacito dal suo creatore. Ma parleremo dopo della bizzarra storia distributiva di “The Thief and The Cobbler”.

Frattanto vale la pena far notare che la trama sarà basica, da fiaba, con tutta una serie di difficoltà che il protagonista deve superare per arrivare alla vittoria finale e anche a raggiungere il vertice della scala sociale. Il punto è il modo in cui si arriva alla conclusione, il modo esasperato e caricaturale in cui sono tratteggiati i personaggi: a cominciare da Tack, che è goffo e ingenuo come un bambino ma di buon cuore, e insieme al Ladro è interprete mutissimo di una serie di gag da cinema comico in bianco e nero, che fanno pensare allo Charlot di Charlie Chaplin. E meno male che al suo fianco c’è la principessa YumYum, volitiva, intraprendente, col piglio della regnante, anche se ancora non ha ereditato il trono. E se Re Nod è sonnolento oltre i limiti della narcolessia, quasi costantemente sepolto in una nebbia di sogni che sembrano non fargli distinguere realtà e fantasia, ZigZag è davvero il prototipo perfetto del trickster dal multiforme aspetto, fluido e imprendibile come acqua, si contorce in espressioni sataniche e fa apparire e scomparire cose dal nulla con le sue lunghe, nodose dita da prestigiatore e imbroglione.

Se ci si aggiunge, poi, che il potente e celeste Gran Visir è doppiato da Vincent Price e parla in rima per tutto il tempo, si ottiene uno di quegli antagonisti irresistibili, nonostante (o forse proprio perché) sia viscido e inquietante oltre ogni limite – né mai mostra pentimento o alcun segno di pietà, che non sia per se stesso e per i propri appetiti. C’è poi un contorno di personaggi buffi e fuori di testa, da cartone animato dei Looney Tunes, pazzi, come l’anziana nutrice di YumYum – donna piccoletta ma forzutissima – o la fumatissima (letteralmente) Mad and Holy Old Witch (Vecchia Strega Pazza e Santa). E, ancora, ci sono i Briganti del deserto, più un alveare che segue un’unica direzione, un unico personaggio comune, che una serie di persone distinte.

E ovviamente il temibilissimo Possente Occhio-Solo, che sta lì per essere non solo un nerboruto prototipo del capo violento e accentratore ma è pure maschilista – siede su un trono di donnine procaci e semi-nude ma, attenzione a quelle donne barbare, perché non staranno lì a fare da trono fino alla fine. È un “deuter-antagonista”, a modo suo, perché nel confronto con l’unto e disgustosamente affascinante ZigZag si rivela più spaventoso ma meno interessante – ma è una scelta che ha un senso, nella narrazione, non solo per il tipo di stereotipo che incarna ma anche perché Possente Occhio-Solo è strumento nel piano di vendetta del Gran Visir, più che personaggio che esiste in maniera indipendente nella storia.

E queste esasperazioni ben riflettono lo stile d’animazione di Richard Williams, esagerato pure quello, ma che sfrutta deliziosamente tutte le potenzialità dell’animazione fino al limite ultimo. Si tratta di un limite tecnologico, dato dalla mancanza di CGI e di programmi per il computer potenti come quelli odierni, ma “The Thief and The Cobbler” riesce a farne egregiamente a meno, nonostante gli altri limiti che gli sono stati imposti, quelli economici. Williams non si limita a pretendere un’animazione fluida al massimo ha sempre voluto girare “on one”, ventiquattro fotogrammi al secondo, e non “on twos”, ovvero dodici fotogrammi al secondo, come accade spesso nell’animazione).

Le inquadrature di Williams richiedono continui spostamenti di camera – un lavoro aggiuntivo non da poco, per gli animatori – per seguire i movimenti esagerati dei personaggi da ogni prospettiva. È così, per esempio, che nasce la sequenza impressionante in cui si trova coinvolto il Ladro, quando suo malgrado finisce per essere usato come pallina durante una partita di polo, organizzata per il personale divertimento di Re Nod. Williams prende la telecamera e le fa seguire i colpi che il Ladro subisce da parte delle mazze dei giocatori, costringendo la prospettiva dello spettatore a diventare quella della pallina – stiamo volando anche noi sopra il prato erboso ed è uno spettacolo da far girare la testa.

E c’è, poi, la sequenza più famosa e citata sul web: quella in cui Tack insegue il Ladro fra i corridoi del palazzo reale. È qui che l’amore spassionato di Williams per la pittura (Rembrandt lo ha spinto a diventare un animatore, insieme alla visione di “Biancaneve e i Sette Nani”) risalta fortemente: negli sfondi ricchi, abbacinanti, tutto un trionfo di forme geometriche intricate, di arabeschi, di motivi da arazzo e di intarsi dorati. Quella sequenza di inseguimento è, a tutti gli effetti, un susseguirsi di giochi prospettici che perforano la retina.

Si può ammirare in questo tweet un segmento degli storyboard, usati come base per la sequenza della discesa dagli scalini, che fa capire fino a che complessità Williams arrivasse, per scivolare sulla superficie piatta del foglio bianco. I personaggi si muovono in diagonale più ancora che in profondità e gli animatori sfruttano il gioco prospettico dei motivi geometrici e i movimenti di camera molto più della composizione dei livelli per rendere appieno il movimento.

Ecco, si possono fare mille valutazioni sui limiti di una trama così semplice, con personaggi così caricaturizzati (che in realtà contribuiscono soltanto a rendere la visione più frizzante e piacevole) ma dal punto di vista tecnico “The Thief and The Cobbler” è effettivamente un capolavoro dell’animazione. Non si può ignorare la complessità con cui tutti i movimenti vengono portati alla vita – le inquadrature non sono mai statiche o non lo sono mai a lungo – né il fatto che le atmosfere non siano mai scontate, piatte, poco bizzarre per non spaventare troppo lo spettatore. Non c’è niente di grigio e spento nel capolavoro di Williams, neanche i nemici, nonostante siano dipinti a tinte scurissime, sono cupi e scontati.

E allora perché (quasi) nessuno ha sentito parlare di questo film? C’entra l’esasperato perfezionismo di Richard Williams, certo, e la sua costante incapacità di rispettare i limiti di budget, ma c’entra, in qualche modo, anche la Disney.

La storia infinita del Ladro che non si arrese

“The Thief and The Cobbler” è stato in incubazione per più di vent’anni: dal 1964 al 1992, anno in cui la Warner Bros decise di toglierlo dalle mani di Richard Williams per affidarlo alla frettolosa regia di Fred Calver e rilasciarlo in sordina, per tamponare le ingenti perdite di un progetto che aveva ormai da tempo sforato ogni scadenza e ogni previsione economica.

Nel 1964 Williams aveva lavorato alle illustrazioni per una serie di libri curati da Idries Shah, una collezione di storie di Mulla Nasruddin, sulla cui base aveva intenzione di girare una serie di film (il cui titolo provvisorio era “The Amazing Nasrudin”). Al 1968 risalgono le prime tracce dell’inizio di una lavorazione di cui si sarebbe incaricato lo studio di animazione di Williams a Londra, il Richard Williams Production. Per finanziare quel progetto, Williams aveva preso in carico l’animazione di diversi corti pubblicitari, e aveva assunto come capo-animatore il leggendario Ken Harris (vedere alla voce “Warner Bros Cartoons”), mentre per gli sfondi aveva chiamato Roy Nasbitt.

Questo dei grandi nomi dell’animazione è un dettaglio importante, perché in un periodo storico come quello degli anni Settanta e Ottanta – in cui l’animazione aveva subito un calo qualitativo importante e la quantità e la rapidità erano diventati i criteri predominanti rispetto alla qualità – Williams stava mettendosi in contatto con quegli animatori che avevano fatto la storia del medium negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta. Il loro know-how rischiava irrimediabilmente di perdersi e lavorare con loro avrebbe significato, per Williams, anche riuscire a tramandare quei metodi di lavoro alla nuova generazione di animatori, che avrebbe lavorato al completamento del progetto alla fine degli anni Ottanta.

Intanto il progetto sub un primo stop nel 1972, quando la Paramount si tirò fuori dall’accordo per la distribuzione prima di siglarlo e la famiglia Shah si riprese i diritti delle illustrazioni di Williams, permettendogli tuttavia di tenersi i personaggi che aveva disegnato per il libro e per il film. Fra il 1972 e il 1978 nuovi talenti vennero assunti per il progetto, che però finì in sordina, mentre lo studio di animazione di Williams continuava a sfornare corti pubblicitari per sostenersi.

Fu solo dopo il successo di “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” che Williams riuscì a trovare un finanziatore di maggioranza nella Warner Bros, ma le cose non andarono come avrebbero dovuto. Nonostante gli animatori arrivarono a lavorare anche sessanta ore a settimana per andare incontro alle scadenze, quando si diffuse la voce che la Disney aveva messo in cantiere un progetto assai simile – “Aladdin” – i produttori della WB entrarono nel panico e chiesero di vedere una versione non ancora completa del film (lunga già più di novanta minuti). Nessuno di loro restò però particolarmente impressionato di fronte al prodotto quasi completo.

(Nulla di nuovo sotto il sole. È notorio che i fratelli Warner, per anni, non abbiano saputo nemmeno che genere di cartoni animati producessero i loro Studios, convinti addirittura che fosse la Warner Bros a creare le storie di Topolino. Questa ignoranza totale da parte dei produttori di cosa fosse, effettivamente, un cartone animato è confermata anche dal fatto che Jean McCurdy, dirigente della Warner Bros Animation dal 1989 al 2001 ammise di non saperne granché di animazione e buttò persino nella spazzatura quaranta minuti di girato del film di Williams. Non esattamente l’ambiente di lavoro migliore per assecondare le manie perfezionistiche di Richard Williams ma nemmeno per riconoscerne il genio.)

Richard Williams venne privato del suo stesso lavoro e toccò a Fred Calvert l’arduo e ingrato compito di completare in fretta e furia il film, tagliando via molti minuti di girato e presentando una versione incompleta, “The Princess and The Cobbler”, che non verrà rilasciato nei cinema del Nord America (dove, nel frattempo, “Aladdin” era uscito nelle sale). Sarà la Miramax, sussidiaria della Disney, ad acquistarne i diritti di distribuzione, ridurne ulteriormente la lunghezza, intitolare il risultato finale “Arabian Knights”, ridoppiarlo (inserendo riferimenti sparsi ad “Aladdin”) e farlo uscire in sordina, presentandolo come un bootleg dell’originale Disney.

La disfatta è completa. Il film ci metterà anni a risorgere e lo farà solo grazie al lavoro di un altro animatore (e sincero estimatore di Williams), Garret Gilchrist, che fra il 2006 e il 2013 rilascerà sul web diverse versioni di “The Thief and The Cobbler”. L’ultima (e, per ora, la più completa) non è una Director’s Cut, perché Williams non ci ha mai messo sopra le mani, pur benedicendo l’impresa. Si tratta di una “Recobbled Cut”, nelle parole dello stesso Gilchrist, che in un thread su Orangecow ha spiegato la lunga e travagliata genesi di questa versione restaurata, un’odissea fatta di aiuti insperati, materiali ripescati dalla spazzatura, contributi collettivi e tanto, tanto lavoro artigianale, per quanto con l’ausilio di Photoshop – perché intanto i tempi cambiano e, potenza dell’Internet, insospettabili fan di Williams affiorano da più parti del globo.

Le ispirazioni non creditate di casa Disney

Non si possono che fare congetture su quanta parte abbia avuto la Disney nell’impedire a “The Thief and The Cobbler” di vedere la luce in maniera completa – l’incapacità dei dirigenti della Warner Bros di riconoscerne le potenzialità fu forse più dettata da ignoranza del medium che da una vera e propria volontà di favorire la concorrenza. È pur vero che, prima della Miramax, tutti i distributori nordamericani avevano rifiutato di distribuire il film nelle sale cinematografiche. È pur vero che la Miramax era una sussidiaria della Disney e lo sfregio operato alla pellicola è stato sistematico e tutt’altro che casuale.

C’è da dire che erano passati alla Disney proprio alcuni degli animatori che si erano formati presso lo studio di Williams e avevano lavorato a un film, che era ormai in cantiere da più di vent’anni e di cui gli addetti ai lavori ben conoscevano le avventure e la storia. Fra loro c’erano Andreas Deja e Eric Goldberg, che hanno dato vita a Jafar e al Genio, due personaggi che nelle movenze e nell’aspetto (e nel caso di Jafar anche nel ruolo e nell’atteggiamento) ricalcano in maniera fin troppo fedele il personaggio del Gran Visir ZigZag. Lo stesso sultano di Agrabah, nell’indolenza e nella stupidità, ricalca in parte Re Nod. Per non parlare di Abu, la fedele scimmietta di Aladdin, che con il Ladro di “The Thief and The Cobbler” condivide il mutismo e la passione per gli oggetti luccicanti, che porta entrambi a compiere atti molto stupidi e gravidi di conseguenze che possono generare vere e proprie catastrofi.

E proprio il Ladro, che è uno dei personaggi più iconici del film, e i suoi movimenti buffi ed esagerati sono il pozzo da cui la Disney più sembra aver attinto. Perché le animazioni parlano più di qualsiasi congettura e, al di là dei vari parallelismi e delle sospette somiglianze, ci sono due sequenze fin troppo simili, che portano a pensare che lo studio d’animazione di Burbank abbia assorbito molte suggestioni contenute nel capolavoro di Williams, senza mai riconoscere nemmeno di aver tratto ispirazione da quest’ultimo.

La prima sequenza (sono entrambi disponibili, insieme ad altri, interessanti spezzoni, nel video qui sopra) è quella in cui Abu adocchia il rubino proibito, nascosto nella Caverna delle Meraviglie: i suoi occhi si ingrandiscono a dismisura, mentre le sue pupille si trasformano in due grossi rubini, riflesso del gioiello che la scimmietta sta osservando con tanta avidità. Ecco. C’è un rubino gigantesco e ben sorvegliato anche in “The Thief and The Cobbler”. E anche qui il Ladro, una volta che lo ha individuato, spalanca un tanto d’occhi – e non è l’unica volta durante il film che si lascia catturare dalla visione di un mistico gioiello.

E poi c’è la rovinosa caduta che coinvolge il Ladro, quando cerca di arrampicarsi sul minareto più alto e impossessarsi delle Tre Sfere Dorate. Il poveretto finisce giù per i bassifondi della città, sbalzato da una tenda all’altra, e finisce pure impigliato nel bucato… proprio come Aladdin, che all’inizio del film cerca, durante una rocambolesca fuga, di sfuggire alle guardie del sultano. E qui spicca, però, tutta la maestria di Williams a scapito di una sequenza che, nel film della Disney, è divertente ma breve e abbastanza statica. In “The Thief and The Cobbler”, invece, la macchina da presa segue la lunga e dolorosa caduta del Ladro, la musica punteggia i rimbalzi, le inquadrature cambiano rapidamente e persino le righe colorate delle tende danno ancora più profondità al modo in cui il corpo del muto furfante viene sbalzato da un muro all’altro.

L’aspetto più ironico di questa vicenda è che non solo Williams, con il suo lavoro al film su Roger Rabbit, aveva contribuito a ridare lustro alla Disney, dopo la sua Età Oscura – l’anno successivo “La Sirenetta” avrebbe segnato l’inizio del suo Rinascimento – ma aveva persino omaggiato lo studio di animazione nel suo film. C’è un momento in cui il Ladro di “The Thief and The Cobbler” cerca di planare sopra la statua dorata in cui è incastonato l’ambito rubino. Nell’aprire le sue ali improvvisate, fa il verso al Satana di “Una notte su Montecalvo”, sequenza presente in un altro capolavoro dell’animazione che è “Fantasia”. E poi, subito dopo, quando il Ladro si lancia, sono le note che accompagnano il volo dell’albatros Orville di “Le avventure di Bianca e Bernie” a segnare la sua rovinosa caduta.

È una fortuna che la passione di Gilchrist e il suo duro lavoro abbiano permesso di salvare questo piccolo gioiello, che forse non vedrà mai una vera distribuzione cinematografica, ma merita considerazione e anche la visione. Non solo perché, nonostante tutto, si rivela un prodotto godibile – e le scene integrate con gli storyboard, lì dove mancavano le animazioni, nulla tolgono alla sua bellezza – ma anche perché resta una pietra miliare dell’animazione. Resta, soprattutto, la testimonianza che esiste un modo diverso di fare cartoni animati – meno ossessionato dalla riproduzione pedissequa della realtà e più consapevole delle sue capacità di medium fantastico, che può allungare e restringere corpi, distorcere prospettive, colorare il cielo e la terra di tonalità impensabili ed elaborati arabeschi.

Da vedere, ringraziando che Internet serva anche a questo: ad essere un immenso archivio che può salvare e rendere visibili anche le storie che la distribuzione ufficiale ha cercato di seppellire. Senza riuscirci.

Un commento su “The Thief and The Cobbler (1992)

  1. Io sono appassionato tanto a Williams. The Thief and the Cobbler è il mio film preferito, perché mi viene Felicità

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