O dell’insostenibile frenesia del mondo contemporaneo

Tsukiko Sagi ha ventidue anni e lavora per un’agenzia pubblicitaria. Il successo l’ha colpita “per sbaglio”, quando ha creato l’adorabile Maromi, una mascotte dalle sembianze di cane rosa con i grandi occhi sognanti, disegnata nello stile di animaletti teneri come Hello Kitty e My Melody.

Le pressioni del suo capo per creare un altro personaggio di successo e le chiacchiere maligne delle colleghe, invidiose del suo successo, pesano sulla sua testa come una spada di Damocle. Una spada che sta lì lì per cadere e ferirla a morte, nel momento in cui sarà chiaro che Tsukiko è incappata in un blocco creativo, da cui proprio non riesce a uscire.

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Tsukiko Sagi ha ventidue anni e si sente un impostore. È stanca, sfibrata, chiusa in se stessa e invischiata nello snervante tran-tran della vita di Tokyo, coi suoi mezzi pubblici troppo pieni, i suoi incroci affollati di passanti – che riversano nei loro cellulari preoccupazioni e lamentele – il suo ritmo lavorativo frenetico e alienante.

È il Giappone, è il 2004, ma potrebbe essere anche il mondo fino a un attimo prima della pandemia. Se sei una persona normale, non puoi fare a meno di sentirti schiacciato da una società che coi suoi doveri assurdi e le sue scadenze troppo ravvicinate non ti lascia nemmeno un attimo per vivere davvero.

Tsukiko è ormai anestetizzata da una quotidianità soffocante, quando una sera, dopo aver incrociato un’inquietante vecchietta, viene colpita da una sagoma che dopo descriverà come quella di un ragazzino armato di una mazza da baseball dorata, che scivola su pattini a rotelle, dorati pure quelli. La polizia e le voci dei cittadini pettegoli ribattezzeranno il misterioso aggressore Shounen Bat, il ragazzo con la mazza. La caccia all’uomo è cominciata ma intanto la vita di Tsukiko sta per cambiare radicalmente e con lei quella di molte altre “persone normali”, tutte vittime dello stesso male di vivere.

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Ritratti non sequenziali di vita quotidiana

Satoshi Kon era uno di quei registi che sapevano davvero raccontare i sogni. Il suo modo di cucire assieme sequenze apparentemente insensate di eventi, ricche di suggestioni, panorami assurdi e visioni orrorifiche, per poi sovrapporle allo scorrere solo apparentemente logico dei fatti reali non era solo non scontato. Era vero, perché chiunque sogni sa che nel mondo onirico i rapporti di causa-effetto si spezzano e le immagini, i suoni, le sensazioni e le paure fluiscono a briglia sciolta.

Paranoia Agent non fa eccezione a questa regola. Arriva dopo quei tre piccoli capolavori che sono Perfect Blue, Millennium Actress e Tokyo Godfathers, dove il nostro ha già sviscerato temi a lui cari – come quello del doppio, del rapporto di mutua influenza fra realtà e cinema e delle storture evidenti nella società giapponese.

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A Kon restava ancora, però, tanto materiale inutilizzato, tante piccole storie di vita quotidiana da raccontare, sempre a modo suo. E allora eccolo, Paranoia Agent, che è un po’ poliziesco, un po’ satira sociale, un po’ racconto surreale, tragico e comico insieme. E, nonostante l’imponente materia onirica con cui è plasmato, è pure un’opera profondamente realista, che con cruda ferocia disseziona ed espone i mali della società giapponese contemporanea, senza mai cedere alla tentazione di diventare morboso o moralista nella sua denuncia.

Partiamo quasi dalla fine, per esempio. Partiamo dall’episodio dieci, Maromi Dolce Sonno, in cui Satoshi Kon illustra il complicato processo produttivo che si nasconde dietro la creazione di una serie animata. In questa puntata il regista non lascia spazio a metafore o a interpretazioni sfumate: la messa in onda di una puntata di un anime nei tempi stabiliti richiede un vero e proprio tributo di sangue. L’industria dell’animazione passa senza pietà sui cadaveri di tanti professionisti – dallo sceneggiatore alla colorista all’assistente di produzione.

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In questo contesto l’invito della Maromi animata a “riposarsi un po’” suona come una presa in giro, mentre la narrazione della puntata è scandita dai bruschi passaggi da veglia a sogno dell’assistente di produzione, Naoyuki Saruta. Più che un senso logico, quei passaggi sembrano seguire solo la logica delle sue illusioni, mentre l’orologio dell’auto che sta guidando verso l’emittente televisiva scandisce inesorabilmente l’avvicinarsi della temuta scadenza.

Satoshi Kon non si ferma al recinto delle sue esperienze personali. Tutto Paranoia Agent è un costante intrecciarsi di vite apparentemente tranquille di persone apparentemente normali. Ma appena si gratta la superficie, si scoprono piccole crepe che si allargano, per mostrare problemi più o meno grossi. È il caso di Yuiichi Taira, ragazzino delle elementari carino e intelligente, popolare e già destinato a grandi imprese. Eppure, non appena sorge il sospetto che sia lui il misterioso Shounen Bat, le aspettative altrui si trasformano in maligni sospetti e bullismo.

È il caso di Harumi Chouno, assistente universitaria e insegnante privata di Yuiichi, che sfoggia una normalità insipida di facciata durante il giorno, mentre la notte tutte le sue repressioni si liberano nella forma di una seconda personalità, promiscua e ben poco collaborativa.

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Kon ne ha anche per la polizia. Accade nel quarto episodio, incentrato sul capo di polizia Masami Hirukawa. Questi è amico di uno dei due poliziotti protagonisti ed è disposto a tutto, anche a lasciarsi corrompere dalla malavita e mettere in pericolo i cittadini che dovrebbe proteggere, pur di fare soldi e costruirsi la casa dei suoi sogni. Ma neanche i due protagonisti della serie, il vice-ispettore Keiichi Ikari e il curioso detective Mitsuhiro Manawi – vengono risparmiati dal bisturi impietoso del regista, che ce li presenta prima come ingranaggi e poi vittime di questo sistema.

Di paranoie e incubi collettivi

Basterebbe già questo ad apprezzare Paranoia Agent ma Satoshi Kon va oltre, sfruttando le potenzialità del mezzo animato fino in fondo e sabotando ogni successione logica degli eventi per raccontare lo svolgersi della storia seguendo l’onda emotiva – ed è un’emozione potentemente paranoica – di un’intera collettività. Una collettività soggiogata dal mistero di questo violento giustiziere, che irrompe nelle vite delle persone che sentono di aver raggiunto il limite, per risolvere tutti i loro problemi con un semplice colpo di mazza.

Proprio quando Ikari e Manawi credono di aver trovato il colpevole che la dimensione onirica trabocca violentemente nella realtà e ne distorce i contorni. È così che una confessione di colpevolezza nel chiuso di una caserma di polizia si trasforma nella rievocazione di una impresa degna di un gioco di ruolo da tavolo.

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È così che ogni puntata si aggancia all’altra non seguendo il logico svolgersi delle indagini ma ficcanasando nelle vite di personaggi introdotti nelle puntate precedenti come comprimari sullo sfondo.

È così che ogni puntata si chiude con una profezia di uno stralunato vecchino, che identifica i personaggi con i nomi degli animali indicati dagli ideogrammi dei loro nomi. Il lavoro di Kon è potentemente stratificato e in ogni scena, ogni nome, ogni luogo, si incappa in una citazione, un rimando, un significato ulteriore.

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È così che, non importa cosa vi diranno, in Paranoia Agent non ci sono filler, solo episodi stranianti che non deviano dalla trama ma prendono per mano lo spettatore immergendolo ancora di più nella paranoia collettiva, fino a toccare il fondo e scavare, per raggiungere le radici dei motivi che hanno generato l’inquietante fenomeno di Shounen Bat.

A questo punto non si può non citare la colonna sonora altrettanto alienante, a cominciare da una sigla d’apertura solo apparentemente allegra, affidata al genio di Susumu Hirasawa, che aveva già collaborato con Satoshi Kon per Millennium Actress e che si unirà di nuovo a lui per Paprika.

E non si può trascurare l’aspetto grafico di questo anime della Madhouse, volutamente disturbante, con le sue distese di colore piatte e opache, dove le ombre si stagliano definite con fin troppa nettezza, al punto che alcune puntate – come quel trip dissociante che è l’episodio otto – fanno male allo sguardo prima ancora di cominciare a raccontare la loro storia e restituiscono fino in fondo la sensazione che tutto sia fuori posto in questa realtà quotidiana sempre più distorta.

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A testimonianza della sua freschezza, sta il fatto che diciassette anni dopo Paranoia Agent risulti ancora tremendamente attuale, nello stile e nei contenuti. Anzi, più che mai nel pieno di una pandemia globale, che ha rotto tutti gli equilibri e portato a galla le peggiori paranoie, Paranoia Agent ha ancora molto da raccontare agli spettatori vecchi e nuovi.

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