#UGAL o Una Giornata A Lossarno è un podcast di storie del mistero – una sorta di “gotico all’italiana” che affonda le sue radici nello urban fantasy. Se conoscete Welcome To Night Vale e Within The Wires, ci ritroverete dentro qualcosa di entrambi: da un lato, una cittadina dove i suoi abitanti convivono con forze ed eventi misteriosi; dall’altro, il formato del racconto, resoconti in prima persona e in un italiano meno letterario e più parlato.

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Satoshi Kon era uno di quei registi che sapevano davvero raccontare i sogni. Il suo modo di cucire assieme sequenze apparentemente insensate di eventi, ricche di suggestioni, panorami assurdi e visioni orrorifiche, per poi sovrapporle allo scorrere solo apparentemente logico dei fatti reali non era solo non scontato. Era vero, perché chiunque sogni sa che nel mondo onirico i rapporti di causa-effetto si spezzano e le immagini, i suoni, le sensazioni e le paure fluiscono a briglia sciolta.

Paranoia Agent non fa eccezione a questa regola.

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Si tratta di due storie che hanno per protagoniste due coppie di ragazzini – Conan e Lana in Conan, ragazzo del futuro e Dipper e Mabel in Gravity Falls – che in entrambi i casi devono misurarsi con la fine del mondo (già avvenuta in un caso; da scongiurare nel secondo). In entrambi i casi c’è una generazione precedente di “grandi vecchi”, che devono fare i conti con gli errori commessi nel loro passato e aiutare i giovani eredi a non soccombere sotto gli effetti collaterali di quegli stessi errori.

E poi sono due storie guidate da una narrazione fortemente emozionale, ambientate in mondi soleggiati, dove contemporaneamente si accostano panorami rigogliosi e antri cupi e inquietanti. Questi panorami fanno da sfondo al viaggio – metaforico e fisico – dei protagonisti verso una meta, che in qualche modo è il ritorno a casa ma fatto dopo essere cresciuti ed essere diventati più consapevoli e aver trovato degli alleati per affrontare il mondo e le sue sfide.

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Innanzitutto: cos’è Kill Six Billion Demons? K6BD è la storia di un viaggio, come accade spesso nel fantasy. La storia di un viaggio e di una scoperta di sé e del mondo che ci circonda, delle contraddizioni intrappolate nella nostra mente e nelle regole dei sistemi che ci governano.

Quello che accade a Allison, ventitreenne che fa la barista e ha una laurea in filosofia, quando viene catapultata dalla stanza di un dormitorio a una megalopoli al centro del multiverso, non è solo un’avventura per tornare alla deprimente normalità in cui è incastrata. Tutt’altro. Quello che Allison scopre, dopo essere stata sballottata in giro per quartieri malfamati come un pacco di merce “che scotta”, è che lei “a casa” potrebbe tornare quando vuole, grazie alla chiave che ha incastonata nella fronte.

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Devilman Crybaby, affidato alle solitamente capaci mani del regista visionario Masaaki Yuasa, veniva stravolto completamente nel tratto grafico e traslato ai giorni nostri. Prometteva di non seguire la strada della “conservazione”, trasponendo pedissequamente le pagine del manga sul piccolo schermo, ma di “innovare”, andando oltre la lezione del maestro per sconvolgere tutte le nostre certezze di spettatori.

Il risultato è, invece, una strana via di mezzo fra adesione alla tradizione e cambiamento di facciata, che consegna agli appassionati un prodotto incompleto, un abbozzo di troppi spunti, che non prende chiaramente posizione su nulla e si rivela carente e arraffazzonato non solo nei contenuti ma anche nell’apparato grafico e nella gestione del ritmo narrativo.

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Il 10 gennaio 2016 si spegne a New York David Bowie, al secolo David Robert Jones, due giorni dopo aver consegnato al mondo la sua ultima opera, Blackstar.

Più che un album è un dolente testamento artistico, in cui Bowie recupera le sonorità jazz tanto amate e condivide con chi lo ascolta il suo personalissimo modo di esorcizzare una morte annunciata da tempo. E quel modo è fare musica e non nascondere niente, neppure un rantolo della sua voce ormai stanca, eppure ancora capace di trasmettere ogni singolo sentimento – anche quello di sentirsi intrappolato in un corpo che sta decadendo più rapidamente di quanto una mente febbrilmente creativa non voglia.

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