Shuna, che nell’aspetto ricorda il giovane Ashitaka di Principessa Mononoke, come quest’ultimo cavalca uno stambecco, che nel racconto viene chiamato “yakkul”. Il suo viaggio verso ovest è costellato di difficoltà. Non solo incontri terrificanti con demoni del deserto, ma anche le avversità degli elementi naturali, la scarsezza di cibo e acqua e poi, naturalmente, i mercanti: di provviste e di schiavi, ma tutti intenti a rapinare e depredare. Il mondo in cui Shuna si muove è un mondo decadente e arrugginito, dove al rosso ferroso del deserto inaridito si contrappone l’azzurro vivido e accecante di un cielo sempre impietosamente sereno.

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Le sue labbra erano rosse, rosse come le fiamme… ─ La rappresentazione LGBTQ+ nel fumetto e nel cinema di animazione giapponese è il primo saggio di Camil Valerio Ristè. Come anticipato dal sottotitolo, il suo oggetto è l’analisi del modo in cui il mondo LGBTQ+ viene rappresentato nei media giapponesi – nello specifico nei manga e negli anime. Un’analisi che non si limita a sviscerare le peculiarità dei titoli più emblematici che hanno come protagonisti personaggi queer ma che risale a monte, raccontando anche la storia delle persone queer nella società giapponese – siano esse uomini gay, donne lesbiche, persone transgender e molte altre sfumature dell’esperienza LGBTQ+ – e le discrepanze rispetto alla cultura euro-statunitense per quanto riguarda la percezione e la terminologia a cui si ricorre per definire l’essere queer.

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[Il 1° Novembre Corriere della Sera ha pubblicato un editoriale firmato da Walter Veltroni: “Perché i manga hanno conquistato i nostri ragazzi“.
In poco più di 800 parole l’ex-sindaco di Roma cercava di spiegare il “fenomeno manga” e provava a capire perché i “nostri ragazzi” sono stati conquistati dall’intrattenimento made in Asia: dai manga giapponesi agli show sudcoreani al k-pop.
Al netto della buona volontà, purtroppo quell’articolo si è rivelato un coacervo di luoghi comuni sul fumetto giapponese e su alcuni fenomeni della cultura pop contemporanea – con improponibili accostamenti fra manga, k-pop e Squid Game, che come unico minimo comun denominatore hanno la provenienza: il continente asiatico.
Seguendo le newsletter del Corriere e notando immediatamente questo articolo, da persona che ama e studia i manga mi sono sentita in dovere di rispondere alla redazione del giornale. Credo fermamente che un giornalismo di qualità debba dare spazio alle voci di chi studia un determinato fenomeno, se vuole fornire risposte chiare e informate.

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Innanzitutto: cos’è Kill Six Billion Demons? K6BD è la storia di un viaggio, come accade spesso nel fantasy. La storia di un viaggio e di una scoperta di sé e del mondo che ci circonda, delle contraddizioni intrappolate nella nostra mente e nelle regole dei sistemi che ci governano.

Quello che accade a Allison, ventitreenne che fa la barista e ha una laurea in filosofia, quando viene catapultata dalla stanza di un dormitorio a una megalopoli al centro del multiverso, non è solo un’avventura per tornare alla deprimente normalità in cui è incastrata. Tutt’altro. Quello che Allison scopre, dopo essere stata sballottata in giro per quartieri malfamati come un pacco di merce “che scotta”, è che lei “a casa” potrebbe tornare quando vuole, grazie alla chiave che ha incastonata nella fronte.

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Quando Netflix ha deciso di portare sulla sua piattaforma la creatura di Anno, per aggirare ogni problema di diritti ha deciso di ri-adattare e ri-doppiare completamente la serie, non soltanto negli Stati Uniti ma anche in Italia. Al danno, anche la beffa, perché la sigla di chiusura, Fly Me To The Moon, è stata eliminata per non incorrere in altri problemi di diritti, che la piattaforma evidentemente non voleva pagare. La polemica che è scoppiata negli USA e in Italia all’indomani del rilascio della serie sulla piattaforma, il 21 giugno scorso, si incentra esattamente sullo stesso problema: una pessima traduzione che, lungi dall’essere più fedele, rende i dialoghi in più punti forzati. Nel caso italiano sono addirittura incomprensibili, come sottolineato dagli screen postati dalla pagina Facebook Gli sconcertanti adattamenti italiani dello Studio Ghibli.

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Pubblicato anche in italiano (“Il Drago e la Saetta”), sempre per i tipi della Tunué, in un formato più ridotto, nella sua versione inglese – curata in collaborazione con la Japan Foundation, che si occupa di agevolare la diffusione all’estero di saggi e studi sulla cultura giapponese – The Dragon and the Dazzle si presenta come un lavoro ragionato e molto curato, seppur con limiti segnalati dall’autore stesso, su come la cultura pop giapponese si sia sviluppata a partire dal secondo dopoguerra e su come abbia attraversato diverse fasi, prima di essere completamente accettata nel mondo occidentale.

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Come da titolo, “Il fumetto supereroico” è un saggio che analizza il fumetto americano mainstream a tema supereroico prodotto dalla DC Comics e dalla Marvel e in special modo le testate e i supereroi di maggior successo popolare – ovvero, fra gli altri, Superman, Batman e Wonder Woman da un lato; Capitan America, Spiderman e gli X-Men dall’altro.

Suddiviso in tre aree tematiche, il saggio affronta l’analisi di questi fumetti da tre prospettive differenti.

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Sì. Lasciando da parte il fumetto, che non tutti conoscono, anche nel film Deadpool mantiene intatte le sue caratteristiche di insopportabile bastardo logorroico senza codice d’onore (o con un codice d’onore tutto suo, che differisce molto dalle regole del vivere comune, ognuno la veda come vuole, anche l’immoralità ha una sua etica di fondo, alla fine) e soprattutto è un mercenario che combatte per se stesso e non risparmia i suoi nemici.

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Avevo detto che il film era una pietra miliare del cinema d’animazione. Ebbene, il manga – da cui poi il film è tratto – è anche meglio e non pensavo fosse possibile. Si tratta di una di quelle storie che vanno lette con attenzione ma soprattutto rilette, perché non basta un solo sguardo per comprenderne tutte le sfaccettature e apprezzarne non solo il messaggio di fondo ma anche l’evoluzione dei personaggi, sia principali che secondari.

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