Devo fare subito un po’ di appunti “tecnici” e “stilistici” al libro: è una biografia scritta nello stile più piatto e cronachistico che abbia mai letto. Confesso che le uniche biografie che ho letto in vita mia sono quelle di personaggi storici famosi (tipo quella su “Carlo V” di Gerosa, che mi ha segnato i sedici anni in bene) quindi suppongo che invece ci sia bisogno di usare le pinze, quando si parla di gente ancora viva o con parenti viventi che hanno diritti di copyright pure sulle sillabe del tuo nome. Mi è sembrato di leggere un tema scolastico, con qualche erroraccio di consecutio temporum che non so se imputare alla traduzione o proprio all’autore originale del libro.

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Una premessa: non sono una fan dei talent. Non li ho mai guardati, neanche per sbaglio. Un po’ mi danno noia, un po’ non possiedono quella quantità di trash necessario ad attirare il lato più buzzurro di me. A quindici anni ero una fiera e integralista avversaria di quel fenomeno – che faceva tanto da “1984” – dei cosiddetti reality show: arrivò “Il Grande Fratello” e pareva che la decadenza dell’umanità tutta fosse appena cominciata (invece era partita da molto prima e ormai eravamo già alla frutta). A venticinque anni mi sono riscoperta appassionata spettatrice casuale di tutte quelle trasmissioni un po’ casalinghe e molto poco ingenue che passano su Real Time (sia lodato il digitale terrestre), Cielo, Sky. Case in affitto? Patiti degli sconti al supermercato? Matrimoni gipsy? Carinerie per gli ospiti? Sparate un titolo e probabilmente ci avrò dato un’occhiata, salvo i reality che coinvolgono problemi medici e fisici e/o parti dolorosi, il mio stomaco ha un limite di sopportazione oltre il quale il trash diventa horror e addio.

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