Come da titolo, “Il fumetto supereroico” è un saggio che analizza il fumetto americano mainstream a tema supereroico prodotto dalla DC Comics e dalla Marvel e in special modo le testate e i supereroi di maggior successo popolare – ovvero, fra gli altri, Superman, Batman e Wonder Woman da un lato; Capitan America, Spiderman e gli X-Men dall’altro.

Suddiviso in tre aree tematiche, il saggio affronta l’analisi di questi fumetti da tre prospettive differenti.

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In questo caso, “L’oceano in fondo al sentiero” è stato un graditissimo regalo di Natale di una mia amica – arrivato a Febbraio perché le Poste Italiane fanno schifo – che ho divorato in appena due giorni e questo già preannuncia della scorrevolezza di un romanzo breve (parliamo di 187 pagine, suppergiù) che mi ha catturato fin dalla prima riga del prologo e non mi ha permesso di abbassare l’attenzione fino all’ultima riga dell’epilogo.

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Sì. Lasciando da parte il fumetto, che non tutti conoscono, anche nel film Deadpool mantiene intatte le sue caratteristiche di insopportabile bastardo logorroico senza codice d’onore (o con un codice d’onore tutto suo, che differisce molto dalle regole del vivere comune, ognuno la veda come vuole, anche l’immoralità ha una sua etica di fondo, alla fine) e soprattutto è un mercenario che combatte per se stesso e non risparmia i suoi nemici.

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Insomma, “Zoolander 2” sta subito sul pezzo e a questo giro si concentra sule ossessioni di questi ultimissimi anni: da Justin Bieber, che deve assolutamente farsi un selfie prima di tirare le cuoia e la morte può attendere, mentre sceglie il filtro più giusto per postare la sua faccia su Instagram; a Derek stesso, che si ficca in un incidente stradale con il figlio per farsi una foto col bastoncino dei selfie; da Don Atari che parla contraddicendosi da solo a un mondo della moda sempre più esasperato nel tentativo di stupire un pubblico ormai assuefatto a qualsiasi bizzarria.

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Abbiamo visto questo film in quattro e, nell’ordine, a una mia amica ha cominciato a sanguinare il naso all’improvviso, l’altra si è assentata per mangiare la pizza, è tornata e ha continuato a guardare lo special senza praticamente perdere il filo, mia sorella ha cominciato ad aggiornare freneticamente qualsiasi social pur di non fissare troppo a lungo lo schermo, io mi contorcevo in preda al dolore sulla sedia reclinabile del soggiorno.

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Quello che ci si troverà davanti è un mix fra Alice nel Paese delle Meraviglie, il folklore giapponese e quei film Disney con animali umanoidi come protagonisti (tipo Robin Hood), ma senza buonismo disneyano e con un realismo che ben s’intreccia all’atmosfera pulita e lineare che hanno molti dei film dello Studio Ghibli, quel genere che ti rimette in pace con il mondo per l’ora e mezza di visione.

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Chi ha letto la mia recensione precedente, sa che “Welcome to Night Vale” è una serie in podcast che va avanti dal 2012 con cadenza bisettimanale e racconta – sotto forma di bizzarra trasmissione radio – le vicende di quella che potrebbe essere una qualunque cittadina americana, non foss’altro che a Night Vale accadono le cose più bizzarre e, quel che è ancora più interessante, tutti i suoi abitanti sembrano considerarle perfettamente normali (sì, anche la presenza di minacciose Nuvole Risplendenti, una Polizia Segreta dai metodi piuttosto sbrigativi, inquietanti Vecchie Senza Volto che ti riorganizzano l’armadio mentre tu volti loro le spalle e via discorrendo).

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Fosse tutto qui il nocciolo del libro, “Moby Dick” sarebbe niente più e niente meno che una storia d’avventura e di mare, dell’infinita lotta fra l’Uomo e la Natura, il Bene e il Male (come da dichiarazione dello stesso Melville), un bel mattone di più di cinquecento pagine dal setting “esotico”.

Il problema – anzi, il lato bello – è che c’è molto di più.

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