E fu così che la volpe si alleò con la coniglietta
Non posso dire che la Disney negli ultimi anni non mi abbia deluso, e parecchio. Ciò che più mi aveva colpito – negativamente – era una certa sciattezza e mancanza di coraggio nel proporre qualcosa di originale, ruolo ormai preso in carico dalla Pixar.
“Zootropolis” aveva invece tutte le carte in regola per potermi stupire positivamente. Animali antropomorfi, una realtà alternativa, una trama da noir che faceva intravedere quel famoso “doppio livello d’interpretazione” che rende certi film apparentemente per tutti ma sotto sotto per adulti, perché solo se hai una certa età capisci gli ammiccamenti e soprattutto alcuni dei messaggi più sottili della storia.
Manco a dirlo, “Zootropolis” ha mantenuto le promesse e quindi, via con la recensione molto di parte.
[COME SEMPRE, ATTENZIONE, POSSIBILI SPOILER]
Judy e Nick alla conquista della grande città
Quando dico che “Zootropolis” è un noir dico proprio che l’intreccio principale riguarda un’investigazione, che si svolge nei bassifondi della città, portando i protagonisti a entrare in contatto con la malavita locale, infilandoli in situazioni da paura – che spaventerebbero un bambino ma di sicuro mettono ansia anche agli adulti – e condendo il tutto con inseguimenti, tensioni sociali, storie di emarginazione e fughe precipitose giù per il tubo.
Un sacco di roba, eh?
Il punto è che tutti questi temi si intrecciano bene fra loro – e una delle risorse più grandi di “Zootropolis” è di utilizzare ogni scena, anche quella più comica, come parte integrante della trama e non semplicemente per aggiungere minuti al conteggio finale del film.
I protagonisti sono Judy Hopps – una coniglietta – e Nick Wilde – una volpe molto astuta (e molto affascinante, ma siamo sicuri che questo sia un film per bambini?!) – uniti dall’essere sostanzialmente due outsider, perché, alla faccia delle apparenze e delle belle parole, gli animali continuano a essere classificati in base alla loro specie e tutti presumono che una volpe possa solo essere furba e una coniglietta assolutamente inadatta al lavoro da poliziotto.
Quando si incontrano la prima volta, Nick è impegnato in una delle truffe con cui tira avanti e Judy sta cercando di dimostrare a un capo tutt’altro che aperto il suo valore come poliziotta. Questo porterà la coniglietta a impelagarsi in un difficile caso di sparizioni di ben quattordici animali – tutti predatori – accettando di risolvere in quarantotto ore il mistero della scomparsa di Mr. Emmett Otter, una lontra padre di famiglia. Nick è l’ultima persona ad aver parlato con la lontra ed è da lui e con il suo aiuto che Judy partirà all’investigazione.
Quello che seguirà sarà un tuffo nelle contraddizioni più accese di Zootropolis, che sotto la patina di metropoli multiculturale nasconde contrasti, razzismi incrociati e pregiudizi di ogni genere – pregiudizi che sono molto affini a quelli che persone di etnie differenti nutrono le une verso le altre. Ma sarà anche un’occasione per Judy e Nick di conoscersi meglio, di mettere a nudo parti di sé che hanno sempre tenuto nascoste agli altri e anche di mettersi alla prova e dover scendere a patti con i propri dissidi interiori.
E così venire a capo dell’investigazione, risolvere le tensioni fra le diverse specie e trovare un proprio posto nel mondo saranno i tre temi che si intrecceranno fra loro in un’unica trama fluida, ricca di citazioni illustri e di momenti da morire dal ridere (ma anche buoni per piangere, l’angst non mancherà).
Esplorando la metropoli più colorata che esista
“Zootropolis” è meraviglioso. Non parlo solo del film in sé, del fatto che abbia un ritmo scorrevolissimo e sempre sostenuto, senza lasciare spazio a divagazioni inutili e prestare il fianco a molteplici buchi di trama. Parlo proprio del concept in sé, del world building, della cura di particolari che è stata usata, per animare i personaggi e per realizzare questa metropoli che, sì, di sicuro fa il verso a grandi città americane come New York, ma che è anche molto di più.
La caratteristica più fantasiosa di Zootropolis salta immediatamente all’occhio quando Judy prende il treno che la porterà in città. Zootropolis è divisa in quattro zone che si dipartono attorno a un nucleo centrale, e ognuna di esse ha un clima differente: la savana, il polo artico, la foresta pluviale e la tundra. Ogni aspetto della metropoli è costruito tenendo conto della differenza di dimensioni ed esigenze dei diversi animali che ci convivono, dalle porticine per l’uscita privilegiata dei lemming, ai banchetti del gelato con l’apertura rialzata per servire le giraffe, al distretto tutto su misura per i toporagni, gli animatori non si sono fatti mancare nulla.
E si sprecano le citazioni a serie tv come “Breaking Bad” (è stata la più divertente, detto personalmente da una che la segue la conosce solo per sentito dire) o a film come “Il Padrino”, i protagonisti sono adulti alle prese con problemi da adulti – ma questo non rende il film meno “storia di formazione” – e non c’è particolare della coloratissima Zootropolis che non sia delizioso. È lodevole anche la scelta di restringere il ventaglio di animali presenti in città a determinati mammiferi, molto poco comuni o mai apparsi nei film Disney nella veste di personaggi umanizzati; in definitiva la cura è altissima e ci sono anche guest star come Shakira appositamente “animalizzate” nelle vesti di super pop-star.
Anche le interazioni fra Nick e Judy, interazioni che si fanno latamente romantiche col passare dei minuti, sono ben calibrate e spontanee, non c’è nulla di forzato in questa storia, che si preoccupa anche di passare un messaggio importante come quello dell’integrazione fra animali di specie differenti, senza risultare ipocrita o pesante. I personaggi “grigi” non mancano, così come non mancano i cattivi insospettabili, c’è di che fare contenti veramente tutti.
E quindi?
E quindi “Zootropolis” è davvero un buon film, un film che risveglia in me l’amore verso la Disney e mi fa ben sperare che ci sia ancora spazio per storie originali, curate, divertenti e commoventi allo stesso tempo. È una storia con un messaggio, un messaggio importante come quello del credere in se stessi e non dare retta a chi ci vuole diversi solo per incasellarci in una comoda etichetta. Ed è un film importante sull’integrazione, in un periodo in cui certi eventi violenti la fanno da padrone e spingono all’intolleranza.
Il doppiaggio italiano, poi, rende particolare giustizia a Judy e soprattutto a Nick – che la voce di Alessandro Quarta rende straordinariamente affascinante – e, ringraziando il cielo, i personaggi “famosi” sono relegati a doppiare ruoli minori, senza togliere troppo spazio a chi del doppiaggio ha fatto un lavoro e non solo un hobby, e se la cavano anche bene.
Non credo ci sia un solo fotogramma di questo film su cui abbia avuto da ridire e soprattutto le risate che mi ha strappato erano genuine, così come le riflessioni e i momenti di commozione. È un film davvero fresco e piacevole, consigliatissimo per i bambini e soprattutto per gli adulti che amano il cinema d’animazione fatto bene e vogliono immergersi in una bella storia, dove la fantasia viene lasciata a briglia scioltissima.