Quello che ci si troverà davanti è un mix fra Alice nel Paese delle Meraviglie, il folklore giapponese e quei film Disney con animali umanoidi come protagonisti (tipo Robin Hood), ma senza buonismo disneyano e con un realismo che ben s’intreccia all’atmosfera pulita e lineare che hanno molti dei film dello Studio Ghibli, quel genere che ti rimette in pace con il mondo per l’ora e mezza di visione.

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Attendevo non dico con ansia ma di certo con molta curiosità questo secondo capitolo, essendomi parecchio divertita a guardare il primo film. Se “Inside Out” era un film rivolto più agli adulti che ai bambini, “Hotel Transylvania 2” è il classico film d’animazione per famiglie che ha l’unica pretesa di tenerti compagnia per una serata in modo leggero e senza troppi impegni.

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Un film che parla di emozioni, della fatica di crescere, dell’importanza di abbandonarsi a sentimenti negativi e non solo di essere sempre felici può influenzare il giudizio complessivo sulla gestione della trama, sull’animazione, sulla musica, insomma su tutti quei lati tecnici di cui bisogna tener conto, se si vuole giudicare la qualità obiettiva di un film e non solo l’impatto che ha avuto su di noi a livello emozionale.

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Eh beh, che v’aspettavate, che vi dicessi che era brutto? Nausicaä è meraviglioso, ha quell’aura anni Ottanta che anche noi, nati alla fine di quel decennio, ci sentiamo prendere dal groppo brutto di nostalgia di epoche mai davvero vissute. È così bello che mi arrabbio doppiamente perché solo tre giorni al cinema è una bestemmia. A undici euro poi. Sì, bla bla bla, le leggi del mercato, bla bla bla, ringrazia che almeno è passato al cinema, bla bla bla, le sale cinematografiche in Italia funzionano così, bla bla bla, insomma, l’ennesima riprova che il mondo fa schifo.

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Penso che fosse da parecchio che non vedevo un prodotto rivolto ai bambini destare sentimenti tanto violenti e contrastanti nel pubblico di adulti che infestano tutti i mezzi di comunicazione a più livelli. Più o meno dai tempi in cui si diceva che “Sailor Moon” avrebbe fatto diventare tutte le bambine delle travestite e “Dragon Ball” avrebbe trasformato i bambini in assassini seriali.

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Prima di tutto il chi. La protagonista di “Quando c’era Marnie” è Anna, una ragazzina ormai dodicenne che ha più di qualche problema a relazionarsi con le persone, per non parlare degli attacchi d’asma, che la colgono in situazioni di particolare tensione. Per curare questa malattia, la sua tutrice – su consiglio del medico – manda Anna in vacanza da due lontani parenti. È qui, nell’aperta campagna dell’Hokkaido, che comincia l’avventura estiva della nostra protagonista ed è qui che Anna incontra e stringe amicizia con la Marnie del titolo. Dopodiché tutto il film sarà un crescendo di scoperte.

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Dire che “Pixels” era un film imbarazzante, senza né capo né coda, è come sparare sulla Croce Rossa ma è la realtà dei fatti. Dal primo all’ultimo fotogramma la coerenza narrativa, il passaggio da una scena all’altra, la caratterizzazione dei personaggi, lo scambio di battute fra di loro, tutto sembra frutto di una sceneggiatura messa in piedi da un tram (cit.) team di quindicenni in piena tempesta ormonale che non riescono a raggiungere la sufficienza neanche nei temi scolastici.

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Ho sempre trovato uno dei punti di forza dello Studio Ghibli proprio questa capacità di emozionare lo spettatore attraverso la “magia delle piccole cose”, senza per forza dover mettere in campo epici duelli (che pure in alcune opere non mancano) e tragedie disumane. Ecco, “La storia della principessa splendente” sa far affezionare e commuovere puntando sul racconto dei più quotidiani e apparentemente banali momenti di vita in un Giappone medievale, intrecciandoli agli aspetti fantastici di quella che resta pur sempre una fiaba. Se così l’esordio del film ricorda quello del più occidentale Pollicino e sfrutta l’occasione per ritrarre un dolcissimo quadretto familiare, che ruota interno all’innaturale rapida crescita di Principessa Splendente (è quello il significato di “Kaguya” in giapponese); la seconda parte del film ricorda quei racconti europei di principesse irraggiungibili che mettono alla prova i propri pretendenti con prove iperbolicamente assurde.

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Ha il sapore di un’opera prima, imperfetta in alcuni punti: l’avvio è un po’ lento, scollegato almeno parzialmente dalla trama principale, e lo spettatore fatica per molti minuti a entrare nel meccanismo della storia. Poi, però, il susseguirsi degli eventi ingrana la marcia e la visione si fa fluida e decisamente più godibile.

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